Il St. Hubertus di Norbert Niederkofler chiude. Forse definitivamente. Tra le ipotesi adombrate, c’è anche quella che il ristorante fosse diventato sempre meno economicamente sostenibile.

 
Tommaso Farina
 

Che stia tramontando il sole anche sulle tre stelle (Michelin)? Non bastava la notizia, poche settimane orsono, della futura chiusura (nel 2024) di Noma, il reputatissimo ristorante di René Redzepi, a Copenhagen. Ebbene, tenetevi forte: il St. Hubertus si fermerà. St. Hubertus è il ristorante dell’Hotel Rosa Alpina, in quel di San Cassiano, Badia, provincia di Bolzano. Un posto che, in un certo senso, si è fatto tutta la gavetta: da ristorantino d’albergo a stellato, bistellato e infine tristellato, grazie al lavoro certosino del barbuto chef Norbert Niederkofler.

 

Bene: St. Hubertus chiuderà il prossimo marzo. Le motivazioni? L’intero albergo sarà sottoposto a una potente ristrutturazione. L’hotel da qualche anno era stato ceduto dalla famiglia Pizzinini al gruppo Aman, una multinazionale elvetica di ospitalità fondata da un indonesiano e oggi detenuta dal russo Vladislav Doronin. Sui giornali, è stato un fiorire di titoli catastrofici. “L’Italia perde un Tre stelle”, ammonisce Repubblica. Subito sotto, la brava Eleonora Cozzella prova a spiegare i motivi di questo pessimismo, che sembra sottintendere che la chiusura non sarà solo temporanea. Vengono difatti riportate le parole di Ursula Mahlknecht Pizzinini: “Ci fermiamo per un anno e mezzo per lavori e dobbiamo ridefinire tutto il concetto della ristorazione. Il St. Hubertus cambierà, sarà più piccolo, con meno coperti”.

 

Su Facebook, il giornalista Dominique Antognoni, spesso protagonista di disincantate riflessioni sui risvolti prettamente commerciali della ristorazione, butta una bomba, dicendo di aver previsto tutto addirittura nel dicembre 2019: “Scrivo che la catena Aman non ha l’intenzione di confermare il ristorante tristellato, una volta finiti i lavori del St. Hubertus, acquistato da poco. E che le tensioni fra le varie figure del risto e dell’hotel fossero altissime, tanto che il pasticcere aveva deciso di lasciare, mentre il sous chef di Norbert, Michele, avrebbe preso le redini del ristorante non stellato dell’albergo”.

 

Prosegue Antognoni, dando la sua personale lettura: “La catena Aman, per chi la conosce bene, offre un lusso rilassante e armonioso, ha una clientela molto benestante, ma non per questo a maggioranza gastrofighetta: è piuttosto gente concreta, dai gusti sicuri ed eleganti, poco incline alla sperimentazione di fiorellini commestibili. Di conseguenza, con tutto il rispetto che si deve a un tristellato, al suo posto aprirà un locale con dei piatti eleganti ma riconoscibili, ben fatti e diretti. Piatti vacanzieri”.

 

E si ritorna su un argomento che oggi è sulla bocca di molti, cioè la sostenibilità dei ristoranti d’altissimo profilo: “Norbert ha preteso che rimanesse l’intera brigata, gli sponsor, i fornitori e via dicendo. Un codazzo lunghissimo e costosissimo. Da parte sua i vertici di Aman hanno spiegato che tutto ciò è impossibile, visti i costi e la politica della catena. Tradotto, ti apprezziamo tantissimo, ti confermiamo come consulente del gruppo, ma pensiamo che un ristorante debba fare utili e non debiti e che la clientela assaggi piatti stupendi ma non esageratamente ricercati”. Sarà così? Ora pure un altro, Filippo La Mantia, chiuderà a Milano, forse temporaneamente: difficoltà col personale. Certo è un trend che fa riflettere.