Roma – Sono ben 17.804 le attività di ristorazione che hanno chiuso dal terzo trimestre 2021 al terzo trimestre 2022. Nonostante un’estate brillante sul fronte delle presenze nei locali, hanno pesato sui conti delle attività l’aumento dei costi delle materie prime e delle bollette, oltre agli oramai noti problemi legati al reperimento della manodopera. Il dato viene riportato oggi da L’Economia, in un articolo di Dario Di Vico, in cui emerge un ulteriore fattore gravante sui ristoratori: il modello take away. L’attività di ristornati e bar, infatti, si è ibridata con quella dei soggetti che preparano e vendono da mangiare, senza servizio al tavolo.

 

“Ormai il modello di business che si impone è quello del mordi e fuggi. Basta aprire uno sportello in una strada dei nostri centri storici e si può vendere cibo senza avere una sala e dei bagni”, mette in luce Roberto Calugi, direttore di Fipe-Confcommercio, interpellato da L’Economia. “Il take away non è più solo un completamento d’offerta, ma a volte un veicolo di concorrenza non sempre leale che scarica sulla collettività i costi d’impresa”.

 

La Fipe chiede dunque regole uguali per tutti – ristoranti, bar, take away – dato che l’ultima legge che regola il comparto è del 1991. E domanda maggiori formazione e competenze per gli addetti ai lavori, spesso carenti delle abilità manageriali necessarie a gestire un’attività.

 

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