Dopo parecchio tempo, riappare un articolo che ‘stronca’ un ristorante italiano. E’ il Bros di Lecce. L’ha scritto un’americana. Ormai è un evento quasi eccezionale: il dire ciò che si pensa non va di moda. Magari per minacce di querela.

 

di Tommaso Farina

 

Incredibile: la faccenda è finita sui giornali. Un miracolo: qualcuno, in Italia, osa dire che in un ristorante ha mangiato male. Anzi, non in Italia: in America. Ma il ristorante in questione è italiano, leccese per la precisione. Geraldine DeRuiter, una blogger americana di un certo seguito, è finita a cenare in questo locale molto reputato: Bros’. Il ristorante di Floriano Pellegrino e Isabella Potì ha una Stella Michelin, e una linea culinaria (e, perché no, comunicativa) provocatoria, capace di dividere il pubblico come poche altre. Bene: alla DeRuiter la cena non è piaciuta neanche un po’. E ha osato scriverlo. Ne è nato un tam tam curioso, soprattutto in Italia. Floriano Pellegrino, lo chef, peraltro ha risposto da par suo, con un discorso a dire il vero alquanto azzardato e tagliato con l’accetta sull’arte e il suo significato. Verrebbe quasi da chiedersi come avrebbe commentato Federico Zeri buonanima.

 

La schermaglia, durata una settimana all’inizio di dicembre, si è rivelata emblematica di una non troppo edificante realtà. Il fatto che qualcuno scriva una vera critica gastronomica ormai da noi è un fatto tanto inconsueto da ottenere approfondimenti sul Corriere della Sera, su Repubblica e su altra stampa di prestigio. Che ha raccontato della querelle come si fa con un evento rarissimo. Il che è ben curioso: proprio sul Corriere, anzi sul suo leggendario dorso del pomeriggio, l’indimenticato (da chi è riuscito a leggerlo) Corriere d’Informazione, negli anni Settanta fu inaugurata la critica gastronomica. Cesare Lanza, il direttore, chiese a un nemmeno trentenne Edoardo Raspelli di scrivere a ruota libera dei posti dove mangiava. E poteva pure scriverne male, nel malaugurato caso dell’incontro con una tavola risultata poco gradita. Ordinaria amministrazione. Nei decenni scorsi, sulla Guida dei Ristoranti dell’Espresso apparivano voti negativi, stroncature di una soave cattiveria, come quando, nell’edizione 1997, della cotoletta di un ristorante milanese l’anonimo recensore scrisse: “ha sapore di suola e la digeribilità di un cammello vecchio”. Ora, invece, basta. Certi ristoratori sono pronti anche a chiamare un avvocato. Ma fa così tanta paura la libertà? Anche quando è ben argomentata?