I rincari mettono in ginocchio ristoranti e alberghi. Occorrono soluzioni quanto prima. Al nuovo Governo il compito di sostenerli. 

 

di Elisa Tonussi

 

Una storica catena alberghiera salentina, Caroli Hotels, a inizio ottobre, ha chiuso i battenti. Una bolletta da 500mila euro ha costretto il direttore delle cinque strutture a interrompere le attività: accoglieranno gli ospiti già confermati per le prossime settimane, poi procederanno alla chiusura, in attesa di tempi migliori.

 

Le notizie che giungono dal settore della ristorazione non sono migliori. Infatti, secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio The Fork, raccolti in collaborazione con l’istituto di ricerca Format Research (di cui leggerete a pagina 33), già nei primi tre mesi del 2022, i ristoranti inaugurati sono stati 3.005 contro i 5.173 che hanno chiuso. La situazione, come ben sappiamo, non è andata migliorando nei mesi estivi: agli esercenti non facevano che arrivare bollette sempre più salate. Fipe Confcommercio, ad esempio, fa sapere che una pasticceria del centro di Firenze, che a luglio 2021 aveva speso 2.307 euro per 9.383 kilowattora di consumi di energia elettrica, a luglio di quest’anno ha speso 10.243 euro per 11.721 kilowattora. Mentre un bar di Roma si è trovato a luglio a pagare 6.946 euro a fronte dei 2.316 euro di un anno fa per un consumo equivalente di poco più di 10mila kilowattora.

 

Certamente albergatori e ristoratori, già reduci da tutto quanto hanno comportato oltre due anni di pandemia, hanno pensato a soluzioni più o meno fantasiose per affrontare all’ennesima sfida e rimanere a galla: ‘a mali estremi, estremi rimedi’, si suol dire. Sullo scorso numero di questa rivista, ad esempio, abbiamo citato l’iniziativa di Antonio Grasso, titolare della pizzeria Gorizia 1916 di Napoli, che nel preconto ha scelto di inserire le voci ‘contributo gas’, ‘fitto’ ed ‘energia’. Il settore alberghiero, invece, già da diversi mesi discute della possibilità di inserire una ‘energy surcharge’ in aggiunta al prezzo di listino: una sorta di supplemento, simile alla tassa di soggiorno, da addebitare al cliente fino a quando l’emergenza non terminerà. Soluzione che le grandi catene internazionali sarebbero, però, restie ad adottare.

 

Il fatto è proprio questo: ai proverbiali ‘estremi rimedi’ ricorrono le attività più piccole, che per la stragrande maggioranza compongono il tessuto ricettivo italiano e che non hanno la solidità finanziaria per affrontare l’attuale situazione. E, per alberghi e ristoranti – i più piccoli, appunto – il rischio di perdere competitività, aumentando prezzi di listini e menù, è dietro l’angolo, visto che ospiti e commensali, a loro volta, si trovano alle prese con i medesimi rincari: bollette, benzina, spesa. Insomma, un vero e proprio vicolo cieco, da cui le piccole attività non potranno uscire se non con concreti aiuti da parte dello Stato. Le principali associazioni di settore, da Federalberghi a Fipe ad Assoturismo, hanno già elencato le misure di cui le attività necessiterebbero: strumenti per la salvaguardia occupazionale, il potenziamento delle agevolazioni in risposta alle emergenze in corso, sgravi contributivi. Al Governo presto in carica il compito di dare loro ascolto.