Il ristorante leccese dei giovani Pellegrino e Potì chiude, facendo un trambusto mai visto prima. Nel 2024, 19 stellati hanno abbassato la serranda, eppure sembra si parli solo di loro. Ecco il risultato di troppa enfasi sulla comunicazione, e poca sulla ragion d’essere di un locale: la cucina.
di Tommaso Farina
Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce, si dice. Ma ci sono anche dei casi anomali: ci sono alberi che mettendo le fronde fanno un sacco di rumore. Quando questi alberi, per un motivo o per l’altro, cascano, il trambusto è anche maggiore. La notizia è della settimana scorsa: Bros’, l’avveniristico ristorante di Lecce, casa della coppia di fuoco Floriano Pellegrino-Isabella Potì, chiude i battenti. Almeno, per come lo conosciamo. L’avventura in terra di Salento, per i due giovani artisti della cucina, durava da quasi otto anni. La notizia ha suscitato un vasto clamore, debitamente amplificato. È una cosa ormai accertata: tutto quello che Pellegrino e Potì fanno, nel piccolo mondo della ristorazione finisce per assumere vasta risonanza.
Motivi della chiusura? Probabilmente, le ben note difficoltà che attanagliano tutto il settore. Più d’un visitatore sostiene che, nonostante le macchinose trafile necessarie per prenotare (ormai sembrano essere diventate uno status symbol), la sala del ristorante risultasse spesso abbastanza vuota. Questo era dovuto forse a una cucina fin troppo audace, addirittura lambiccata secondo certuni: e la cosa si attirò la ribalta della stampa generalista nel 2021, quando la blogger americana Geraldine DeRuiter, oggi peraltro meno assidua nel pubblicare, scrisse una recensione fortemente critica. La cena dai Bros’ non le era piaciuta neanche un po’. Le rispose direttamente Pellegrino, con argomenti appassionati ma alquanto retorici, tirando in ballo addirittura il senso dell’arte. Ecco: secondo alcuni, il problema dei Bros’ era anche la loro non spiccata simpatia, derivante da una concezione di se stessi abbastanza granitica. “Le prime volte che ho mangiato nel loro locale rimasi incantato. L’ultima li trovai già in discesa e distratti. Ho poi vissuto la loro progressiva trasformazione di immagine e mi sono fatto la convinzione che il loro problema vero è stato il posizionamento sbagliato dovuto all’inesperienza giovanile e al provincialismo di cui Floriano non si è mai liberato, e lo si vede dalla spiccata tendenza a fare lo sborone”: Luciano Pignataro, commentando la chiusura, come sempre non ha peli sulla lingua. E prosegue come un rullo compressore: “Il provincialismo lo abbiamo visto nel pensare che la modernità venga dai social o dalla tv, che la contemporaneità sia stupire a tutti i costi, che i gastrofighetti della ztl possano risolverti i problemi di budget senza capire che sono loro ad aver bisogno di te. Come si concilia la contemporaneità con la reclame dell’Algida?”. Il riferimento è alle campagne pubblicitarie a cui i due cucinieri, indubbiamente fotogenici, hanno prestato la faccia. Intendiamoci: Pignataro ribadisce che la coppia salentina ha talento puro nelle vene. Solo che l’hanno troppo spesso infiorettato di “infantili sciocchezze comunicative”, facendo ricordare queste ultime a scapito dei contenuti.
Ma facciamo mente locale: nel 2024, hanno chiuso 18 ristoranti stellati. Anzi, 19: l’ultimo è stato L’Arcade, a Porto San Giorgio (Fm). Era il regno dello chef Nikita Sergeev, e aveva la stella dal 2021. “Non ho più stimoli. Non ci credo più. E se non provo più emozioni, non riesco nemmeno più a trasmetterle a chi lavora con me e ai nostri clienti”: così il trentacinquenne originario di Mosca, che a detta di tutti è sempre stato bravissimo. La sua chiusura non ha suscitato polemiche e dibattiti. Perché? Forse Niki, come si fa chiamare, è un ragazzone che non ha un look glamour come quello dei suoi due colleghi leccesi. Uniamoci che è russo, e oggi parlar bene di un russo sembra quasi un atto di lesa ucrainità. Poi, è pressoché autodidatta: ha frequentato la scuola dell’Alma, ma non ha fatto le ricche esperienze estere di Potì e Pellegrino. Non è il solo caso di chiusura sottotraccia: VIVA di Viviana Varese, uno dei miei preferiti a Milano, se n’è andato in silenzio. Viviana Varese, del resto, è l’opposto dei Bros’: introversa, poco incline alle luci della ribalta, ama i toni bassi. Se ci fate caso, non sono in molti a parlare della cucina dei Bros’, se non in rari casi, anche se è piena di contenuti: di loro si parla quasi solo per le trovate di comunicazione. Ora i due giovani si dedicheranno a una masseria in Valle d’Itria, sempre in Puglia: staremo a vedere se questa nuova avventura segnerà la consapevolezza di evitare che la sostanza venga fagocitata dal contenitore.