Un ristoratore spagnolo ha chiesto ai piccoli ospiti di stare seduti durante il pasto: li aiuta ad apprezzare meglio la cucina. Guai a sottovalutarli: non solo saranno i clienti di domani, ma anche oggi possono capire benissimo le vostre ricette. Se sono curiosi.

 

Tommaso Farina

 

“Questo piatto è squisito!”. Stando ai racconti dei miei genitori, il sottoscritto era solito pronunciare frasi del genere attorno ai due anni, forse anche prima, commentando una ricetta particolarmente buona. Decisamente, in due cose sono stato precoce: il mangiare e le chiacchiere. E difatti, oggi il mio mestiere consiste nello spendere parole sul buon cibo. Un predestinato, si potrebbe dire. E dico questo perché oggi si parla dei bambini al ristorante. Un ristorante pregevole, O’ Fragón, di Fisterra, in Galizia, Spagna, su una penisola protesa nell’Oceano Atlantico, ha deciso: i ragazzini con meno di 12 anni devono restare tassativamente seduti a tavola. Motivo? La conformazione ambientale molto particolare (cercate su internet le foto del locale della famiglia Insua, e capirete) nonché il desiderio di far loro apprezzare la cucina. Ebbene: in molti se la sono presa. Altri invece, con soddisfazione, hanno detto che ai bambini si deve giustamente mettere un freno, dato che spesso si comportano in maniera un poco disturbante.

 

A mio avviso, la ragione ‘culturale’ è encomiabile: stando a tavola, un piccolo palato può capire la bellezza che può nascere dal mangiar bene. Io ho avuto la fortuna di avere due genitori fanatici di cucina e fornelli, e m’è andata bene. Inoltre, non eravamo particolarmente benestanti, ma ciò non ci ha impedito di fare viaggi estivi, anche coraggiosi, in tutta Europa. E io, bambino godereccio, fin da allora pensavo che l’ideale complemento di una gita fosse la sosta al ristorante: malsopportavo pranzi al sacco e altre cose del genere, volevo provare la vera cucina.

 

In Polonia, nel 1987, con la cortina di ferro ancora abbassata, ho tuttora vivo il ricordo di tutte le diverse interpretazioni del boeuf à la Strogonoff (piatto che da quelle parti è in voga da tempo immemorabile) cucinato a Cracovia, Varsavia, Danzica. Avevo solo sei anni, ma ero un inguaribile malato di buona cucina. L’anno dopo, in Ungheria mi entusiasmavo per i Ćevapčići, che erano un piatto di origine iugoslava ma non lo sapevo, e nell’89 in Danimarca scopersi la oksekødsuppe: guai a rinunciarvi. Vabbè, ero piuttosto grandicello, ma anche quand’ero piccolo ero un gourmet in miniatura, e non certo uno di quei bambini schizzinosi che non mangiano niente. Ecco, io non avrei avuto problemi a star seduto sempre, figurarsi a 12 anni, quando ero già un piccolo e serioso mini-adulto.

 

I gestori, come si comportano? Un blasonato ristorante cinese di Barrow-in-Furness, in Inghilterra, ha deciso di maggiorare i prezzi per i piccoli ospiti. Di tutt’altro avviso un mostro sacro come Marco Pierre White, sempre oltremanica: in uno dei suoi locali, la steakhouse Hull dell’Hotel Hilton di Ferensway, addirittura sotto i 12 anni si mangia gratis. Due visioni a dir poco antitetiche.

 

In Italia, c’è qualche ristorante che è espressamente vietato ai bambini. Non se ne capacita il bravo Ilario Vinciguerra, ex stellato Michelin a Gallarate: “Sento ancora dire da clienti che in alcuni ristoranti ‘blasonati’ non fanno entrare i bambini. Credo che sia una vergogna. Aprite le porte ai bambini che sono il nostro futuro. Smettetela, cari colleghi, di fare i falsi moralisti e pensare solo al Dio danaro”. Ecco, questo è un punto non da poco: i bambini di oggi saranno i clienti di domani, augurando ai ristoratori di stare in attività per almeno altri trent’anni.

 

I bambini non sono solo bambini: come disse l’hollywoodiana Mrs. Doubtfire, sono personcine, che non vanno trattate con condiscendenza. Un bambino è capace, in certi casi, di capire certi piatti più di un adulto che magari passa le giornate a polemizzare su Facebook contro gli chef o a scrivere recensioni scriteriate su Tripadvisor.