Il dolce natalizio nazionale ormai vanta quasi più concorsi e classifiche che non produttori. E’ ben difficile trovarne uno che non abbia almeno una coccarda di ‘campione’ in qualche gara o graduatoria. Sarà vera gloria?

 

di Tommaso Farina

 

“Ciao, sono il panettone senza classifica. Mi dai un morso, così mi sento meno solo?”. Così lo scorso 17 novembre Marco Colognese, critico gastronomico della Guida dei Ristoranti de L’Espresso, con la sua ben nota propensione alla battuta, salutava la stagione natalizia incombente: una stagione in cui non potevano mancare i concorsi dedicati ai panettoni artigianali e le loro famigerate classifiche. Sembra quasi che ci siano più premi e award del panettone che non panettoni stessi. E sì che di panettoni, ormai, ce n’è una foresta.

 

In verità, il proliferare del panettone fa godere il gourmet. Fino a una trentina d’anni fa, il mercato dei dolci da ricorrenza era nelle mani dell’industria, che fa tuttora un lavoro sicuramente meritorio. Ciò non toglie che ci fosse chi voleva rendere giustizia al mondo del panettone dandogli anche una dimensione diversa, più domestica, e anche più lussuosa se vogliamo, più luxury. Intorno ai primi anni Duemila, le pasticcerie e le panetterie che a Natale azzardavano il panettone lo facevano alla chetichella, senza sirene: avevano i loro clienti, che erano ben felici di spendere di più per un prodotto che, rispetto a quelli dei colossi industriali, aveva più frecce al suo arco. Mi viene in mente, tanto per dire, la Pasticceria Marchesi dell’era precedente all’acquisizione da parte del gruppo Prada, oppure la storica Pasticceria Busnelli di Arluno (Milano), presente sulla guida del Golosario fin dalle prime, remote edizioni. Nel 2006, quando sulla cronaca milanese di Libero, il quotidiano, scrivevo ampi speciali sui panettoni della città, non immaginavo di far parte di quelli che stavano tirando la volata a un settore che negli anni a venire sarebbe letteralmente deflagrato. Andavo a provare i panettoni di Cova in Montenapoleone (ancora di proprietà della famiglia Faccioli), Bastianello, Gattullo, Cucchi, Ranieri, Martesana, Sant’Ambroeus e altri, che già all’epoca costavano una trentina di euro al chilo: ancora non sapevo che in meno di un decennio nessun panettiere o pasticcere avrebbe potuto permettersi di non fare il panettone, e che sarebbero sbocciati i panettonisti del Sud, da Carmen Vecchione a Rocco Scutellà. Oggi il dolce natalizio milanese per eccellenza si è guadagnato interpreti di pregio in tutt’Italia. Non stupisca il trovare grandi esempi in Campania: l’approfondimento della lievitazione ‘scientifica’ che ha caratterizzato il mondo della pizza negli ultimi lustri non poteva non riverberarsi su quello che, secondo molti, è il lievitato più difficile da lavorare. Proprio al Sud sono emerse le varianti più spregiudicate sul tema, addirittura salate: per esempio, lo ‘Ndujattone del calabrese Marco Macrì, di Caulonia (Reggio Calabria), che contiene gocce di ‘Nduja di Spilinga; o il Panettone Gastronomico Irpino, che la Pasticceria Vignola di Solofra (Avellino) confeziona con pancetta e capocollo dell’Irpinia, caciocavallo e pecorino. Due esempi oltretutto magnificamente realizzati, intendiamoci.

 

Collateralmente a simile fioritura di bontà, ecco le classifiche e i concorsi. Margo Schachter, su La Cucina Italiana, si è presa persino la briga di scandagliarne, a grandi linee, il numero: ce ne sono letteralmente a decine. Ridendo e scherzando, al giorno d’oggi, sembra quasi che non ci siano panettoni che non abbiano vinto almeno un gagliardetto da qualche parte, come avviene, nel caso dei vini, nei famigerati concorsi enologici tedeschi che premiano chiunque. Non ci si raccapezza più, tra giurie d’assaggio blasonate e semplici graduatorie stilate da giornali specializzati e generalisti. Il Corriere della Sera ha pubblicato, tra l’altro, ben due classifiche dedicati ai dolci venduti in Grande distribuzione: una ad opera di Altroconsumo, e un’altra ‘Secondo noi’, quest’ultima sbancata dal panettone classico Elisenda, nato da una collaborazione tra Esselunga e Chicco Cerea, con un prezzo che lo avvicina a quello delle pasticcerie.

 

Tanto di cappello: i campionati del mondo (ci sono pure quelli) e le varie champions league e coppe del panettone riflettono la salute di un comparto vigorosissimo, che offre un panorama di lievitati realizzati assai meglio di qualche decennio fa. Ma ogni tanto verrebbe da dire: fermate il mondo, voglio scendere!