Lo Stato di New York dichiara fuorilegge il mercato secondario delle prenotazioni nei ristoranti. E’ un sistema che consente di vendere i posti a tavola anche per 900 dollari, rigorosamente in nero. Una speculazione che non porta un centesimo ai ristoratori.

 

di Tommaso Farina

 

Lo Stato di New York scende in campo contro i bagarini della ristorazione. Bagarini della ristorazione? Dopo quelli che fanno la cresta sui biglietti dei concerti, ecco la variante più evoluta e al passo coi tempi: i personaggi che mettono all’incanto i tavoli più ambiti da prenotare per cenare, dopo averli riservati per sé. Pare che nella Grande Mela pullulino. E spadroneggiano al punto da aver convinto la governatrice dello Stato, Kathy Hochul, a firmare un provvedimento che impedisce ai gestori di servizi di prenotazione di accordare, per l’appunto, prenotazioni non autorizzate: la notizia è del 19 dicembre scorso, ma in Italia è stata portata alla ribalta da Il Gusto, l’inserto gastronomico di Repubblica.

 

Facciamo un attimo il punto: che cosa sarebbero le ‘prenotazioni non autorizzate’? Autorizzate da chi? Ebbene: la deregulation tipicamente americana ha consentito lo sviluppo di app che consentono di riservare un tavolo e di trasformare la prenotazione in un bene vendibile. Non stiamo parlando di un servizio come TheFork, che lavora in sinergia coi locali stessi, e che comunque non fa queste cose: qui il ristorante è completamente estraneo a qualunque compravendita. Per dire, abbiamo appena aperto uno di questi siti, Cita Marketplace: ‘Buy and sell reservations at the most exclusive restaurants’, ‘Compra e vendi le prenotazioni neri ristoranti più esclusivi’, recita l’intestazione. A chi vanno i soldi dell’acquisto delle prenotazioni? Ai ristoranti forse? Manco per sogno: vanno a chi fa la prenotazione e decide di metterla in vendita. Repubblica riporta alcuni casi limite (600 dollari, circa 580 euro, per un tavolo), ma la nostra semplice ricerca ne ha evidenziati ben altri: in home page su Cita Marketplace, è in bella evidenza la possibilità di pranzare oggi stesso, dalle due alle tre del pomeriggio al ristorante Torrisi, di Mulberry Street, nel pieno della vecchia Little Italy. Prezzo della prenotazione: 906 dollari (878 euro). Non è uno scherzo. Per la cronaca: a quel ristorante, citato dalla Guida Michelin, un pasto supercompleto (che in molti non fanno più) difficilmente costa più di 120 dollari. In pratica, si dovrebbe pagare sette volte e mezza il livello del conto (solo per sedersi), e non al ristorante ma a uno sconosciuto che ha prenotato (gratis) e mette in vendita la sua prenotazione per fare una forma di speculazione ancora inedita.

 

Oltretutto, abbiamo fatto il paragone coi bagarini ‘classici’, ma non è del tutto appropriato. Il bagarino rivende qualcosa che era già stato messo all’incanto, mentre il Warren Buffett delle prenotazioni invece no: guadagno del 100% (sempre ammesso che i siti a cui si appoggia non trattengano, com’è probabile, qualche commissione), di cui nulla al ristorante. Repubblica riporta il caso di tale Alex Eisler, sconosciuto diciannovenne statunitense che in questo modo avrebbe messo insieme dagli 85 ai 105mila dollari (fra gli 82 e i 145mila euro).

 

I paladini a oltranza del mercato ultraliberista e deregolato non la penseranno così, ma al sottoscritto pare abbastanza allucinante. E le stesse visioni le condivide la governatrice newyorkese Hochul, che lo scorso dicembre ha dunque licenziato il decreto S.9365A/A.10215A, che dice basta: i siti terzi non potranno più vendere impunemente le prenotazioni. “Stiamo ponendo fine al mercato nero predatorio delle prenotazioni dei ristoranti, proteggendo i consumatori e le imprese e dando a tutti la possibilità di sedersi a tavola”, ha annunciato. Il deputato statale Alex Bores le fa eco: “In tempi in cui il costo della vita è un problema oltremodo sentito, questa industria sanguisuga del furto di prenotazioni ha avuto effetti deleteri sulle piccole imprese, sui camerieri e sui consumatori”. E sì che proprio ai consumatori si appella uno che invece difende la deregulation, l’editor Jack Nicastro del giornale Reason (sottotitolo: ‘Free minds and free market’, ‘Menti libere e mercato libero’, figuriamoci). Per Nicastro, la scelta dello Stato di New York è sbagliata: “Mettere sul mercato beni rari a consumatori che li valutano nel modo giusto non è parassitismo: crea valore per i consumatori”. Come no: 906 dollari per un tavolo, di cui zero al gestore, sarebbe “valutare nel modo giusto”, nientemeno. Nicastro poi suggerisce la soluzione geniale: siano i ristoratori stessi a far pagare le prenotazioni. Tutto in onore del consumatore, vero? Comunque, il decreto dello Stato di New York entrerà in vigore da febbraio: sarà interessante appurarne gli effetti.

 

Immagine realizzata con IA.

 

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