Negli ultimi anni, la Michelin ha realizzato la sua celebre guida anche su richiesta di enti per il turismo, desiderosi di attirare visitatori grazie a un’offerta gastronomica quotata. E si fa pagare anche milioni di euro. Il sistema sembra funzionare. Ma per quanto tempo ancora?
di Elisa Tonussi
Vuoi la nostra Guida per il tuo paese? Allora devi darci un contributo. Negli ultimi anni, diversi Stati o regioni hanno sborsato denaro affinché venisse stilata un’edizione della celebre Guida Michelin a loro dedicata. Hanno iniziato alcune mete asiatiche: Hong Kong, Macao, Singapore, Thailandia e Corea del Sud nel 2016. Poi gli Emirati Arabi e la Malesia nel 2022. E anche diverse città e Stati in Nord America nel corso degli anni. Da ultimo il Texas, che ha recentemente annunciato una guida dedicata ad alcune delle sue principali città. Perfino alcuni Stati in Europa hanno pagato la propria edizione della Rossa: è il caso di Paesi baltici, Ungheria e Repubblica Ceca, dove si è verificato un ampio dibattito sulle reali opportunità dal pagamento di somme tanto ingenti.
È bene sottolineare, infatti, che a commissionare i compendi alla Michelin sono nella stragrande maggioranza degli organi pubblici: enti per il turismo, uffici di promozione locali, ministeri. Ed è il caso di precisare pure quali cifre sono in ballo. La Corea, fra il 2016 e il 2020, ha speso un milione di dollari (circa 900mila euro). Ma la Thailandia ha investito una cifra ben superiore: 4,4 milioni di dollari (3,9 milioni di euro) per il periodo 2017-2022. Più recentemente, la Repubblica Ceca avrebbe pagato circa 400mila euro in tre anni. Houston First, il dipartimento del turismo della città texana, ha rivelato che sborserà 90mila dollari (80.500 euro) all’anno per tre anni.
Perché spendere simili cifre è presto detto: per attirare più turisti grazie all’offerta gastronomica, meritevole di una menzione nella prestigiosa guida. La presenza degli ispettori francesi genera, inoltre, maggiore competizione fra i ristoranti, portando a un miglioramento e arricchimento dell’offerta gastronomica di una località, che incrementa l’interesse degli avventori e, dunque, il giro d’affari.
Emblematico è il caso thailandese. Quando, nel 2017, venne lanciata la prima edizione della Rossa nel Paese, il presidente dell’autorità del turismo locale sperava che la collaborazione avrebbe dato slancio al turismo premium e che sarebbe migliorata la qualità dell’offerta gastronomica. E così, in effetti, è stato, tanto che, dopo il primo accordo della durata di quattro anni, la collaborazione è stata rinnovata fino a oggi e la selezione è stata estesa a diverse regioni nel Paese.
Non si può dire che altre guide ‘su commissione’ abbiano avuto il medesimo successo. È stato il caso della Guida Michelin dedicata alla Corea del Sud, che, nella sua prima edizione, includeva esclusivamente indirizzi a Seul: dopo la pubblicazione, erano state avanzate lamentele rispetto alla selezione degli ispettori, ritenuta incoerente. C’è chi online aveva perfino parlato di corruzione.
Queste vicende, i termini degli accordi mai resi noti e, semplicemente, che la Michelin accetti di realizzare guide su commissione gettano un’ombra sull’indipendenza e sulla validità della guida stessa. Insomma, se mai era stata realizzata una selezione dei ristoranti della destinazione pagante è perché, probabilmente, non era stata ritenuta di adeguato interesse. Di conseguenza, il dubbio che questi vengano valutati con criteri meno rigidi rispetto a quelli dei Paesi non paganti è lecito. Inoltre, può essere assolutamente imparziale e oggettivo il commento di un critico invitato ad hoc?
In una recente intervista a Bon Appetit, rivista americana di ricette e cultura gastronomica, Gwendal Poullenec, direttore internazionale della Guida Michelin, ha sottolineato l’indipendenza dei suoi ispettori: “Siamo indipendenti e abbiamo la fiducia del cliente. Le organizzazioni delle diverse destinazioni non hanno in assoluto alcuna informazione rispetto alla nostra selezione finché non la divulghiamo alla stampa”. Inoltre: “Stiamo organizzando numerosi eventi, come le cerimonie di presentazione delle guide, cene private e food festival. Tutto questo senza compromettere l’indipendenza della nostra selezione. Con quei ricavi copriamo una parte dei nostri investimenti finanziari ed editoriali, che sono ingenti. Tra dipendenti a tempo pieno, spese di viaggio e auto, conti dei ristoranti, le mie spese editoriali sono maggiori rispetto a quelle di alcuni dei più grandi giornali al mondo”.
La necessità di incrementare i guadagni per tenere in piedi un sistema estremamente dispendioso, dunque, sarebbe la ragione per cui la Michelin ha iniziato a realizzare guide su commissione. Nel 2010, infatti, dopo anni di conti in rosso, l’azienda di pneumatici aveva richiesto ad Accenture una valutazione sulla propria sostenibilità finanziaria. Quello che emerse fu una doccia fredda: le perdite avrebbero toccato i 15 milioni di euro all’anno, se la Guida non avesse modificato il proprio modello di business. Da allora, la riorganizzazione aziendale e il cambio di rotta.
Il sistema Michelin odierno sembra tenere, comunque: i lettori evidentemente apprezzano la possibilità di avere una selezione di ristoranti in quante più mete possibile e i ristoranti premiati possono godere di un’importante vetrina internazionale, con il conseguente ritorno economico. Questo stesso sistema, però, si regge sul rapporto di fiducia tra Guida e cliente costruito, nel corso di decenni, attraverso la pubblicazione di una selezione di destinazioni scelte in autonomia e giudicate con rigore. Se non fosse più così, cosa potrebbe succedere alla rinomata Rossa?
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