Nel corso dell’Assemblea pubblica 2023 di Fipe-Confcommercio è emerso che il settore non sa raccontarsi in maniera efficace: spesso risulta vittima di sensazionalismo e spettacolarizzazione online. Nemmeno i grandi chef se la cavano bene…

 

di Elisa Tonussi

 

Si dice che l’Italia sia l’unico Paese al mondo dove si parla di cibo e di cosa mangiare, anche quando si è ancora a tavola. È un Paese in cui la rivelazione delle guide riscuote un’enorme attenzione mediatica e dove non si conta il numero di canali televisivi, trasmissioni, case editrici e riviste a tema gastronomico. In Italia spopolano food influencer e siti di recensioni di ristoranti. Eppure proprio il settore della ristorazione non sa far parlare di sé, quantomeno in maniera corretta. E rimane vittima di sensazionalismo e spettacolarizzazione.

 

Se ne è parlato in occasione dell’Assemblea pubblica 2023 di Fipe-Confcommercio, che si è svolta lo scorso 15 novembre, dall’emblematico titolo La ristorazione nella comunicazione. Valori, pregiudizi e strumentalizzazioni. Proprio la comunicazione è stata il focus del discorso di apertura del presidente Lino Stoppani, che ha realizzato una lunga analisi sul modo in cui il settore si racconta. Ha sottolineato: “E’ indubbio che il digitale è un piano al quale nessuno può oggi pensare di sottrarsi. I social network in particolare vanno, però, seguiti, interpretati e curati per evitarne abusi, storture e manipolazioni”. “Per quanto ci riguarda”, ha evidenziato, “c’è il rischio di recensioni fasulle e commenti su commissione”. Questo lo sanno bene i lettori della nostra rivista, in cui, nella rubrica ‘TripAdvisor e i nuovi mostri’, raccogliamo ogni mese, tra risate amare, le recensioni più improbabili scovate in internet.

 

Non solo recensioni, secondo Stoppani, il web è spesso causa di letture distorte della realtà. Ricordate il ‘toastgate’ della scorsa estate, quando un bar aveva applicato un sovrapprezzo per la divisione di un toast? Era scoppiato un putiferio: per gli internauti pagare un simile servizio era assolutamente inammissibile. La bufera social è naturalmente durata il tempo di un cocktail sotto l’ombrellone, ma intanto tutta la categoria dei pubblici esercizi ne era uscita danneggiata. A cadenza regolare, in realtà, appaiono nelle cronache online casi di scontrini gonfiati e sovrapprezzi inspiegabili, che contribuiscono a dipingere quella dei ristoratori come una categoria di furfanti e approfittatori. Il problema è che “lo storytelling sulla ristorazione si ferma solo al primo livello di spettacolarizzazione”, spiega Stoppani, “accendendo i riflettori sulla parte più ‘narcisistica’ di imprenditori e consumatori o facendo prevalere gli aspetti sensazionalistici sul merito, con una distorsione della realtà, che offusca l’impegno, il sacrificio e i valori di un settore complesso e articolato”.

 

Raccontarsi sul web e su social, però, non è affatto facile. La rete è polarizzante e i suoi utenti, che agiscono di pancia, vogliono essere intrattenuti e coinvolti, cercando sempre un’occasione per dire la propria. È una giungla digitale, in cui anche i big dell’alta ristorazione non sembrano destreggiarsi al meglio. Antonino Cannavacciuolo, ad esempio, ha un sito internet unico per tutti i brand del proprio gruppo. Dal design pulito ed elegante, è di facile fruizione, la pagina Instagram collegata, però, è incostante nelle pubblicazioni, che pure sono pensate per raccontare ai follower tutti i progetti dello chef. Il profilo personale di Cannavacciuolo, invece, è un disordinato alternarsi di comunicazioni ufficiali a casalinghe foto di figli e famiglia. Carlo Cracco ha optato per una diversa strategia di comunicazione online: per ogni ristorante esiste un diverso sito internet e una distinta pagina Instagram. Una scelta dispersiva che genera confusione nell’utente desideroso di conoscere le attività del noto chef vicentino. Cosa dire di Alessandro Borghese e del suo ristorante AB – Il lusso della semplicità? Anche in questo caso, chef e ristorante hanno due profili Instagram separati, i cui contenuti, però, sono simili e male organizzati: non si identifica un unico stile grafico e la comunicazione appare rivolta esclusivamente alla pubblicizzazione delle attività del ristornate e dello chef. Bruno Barbieri, invece, si è dimostrato abilissimo negli anni a sfruttare le potenzialità e le caratteristiche dei diversi social network, interpretando a modo proprio i trend che appassionano la rete. È vero che, nel frattempo, ha lasciato progressivamente il mondo della ristorazione, che ha fatto grande il suo nome, ma al cuoco bolognese occorre riconoscere l’attrattività social.

 

Il problema, però, è che Barbieri da solo non basta a raccontare un settore. Nel 2024, dunque, le sfide che dovranno affrontare i ristoratori non saranno davanti ai fornelli, bensì dietro a uno schermo. Assurdo? Non così tanto. I clienti entrano nei ristoranti attratti dalle belle insegne per strada. Il web altro non è che una grande piazza e social e siti internet sono le sue vetrine.