Vincenzo Colao, ristoratore romano, opera da oltre trent’anni a Trastevere con il Ripa 12. Di recente è stato vittima di ritorsioni. Il motivo? Aveva rifiutato l’offerta di un pacchetto da 400 euro per 100 segnalazioni online. Con lui scoperchiamo il vaso di Pandora dei voti sui social.

 

di Andrea Dusio

 

Vincenzo Colao è il patron di Ripa 12, locale storico nel cuore di Trastevere, a Roma, tra i più apprezzati in assoluto della zona per il pesce. Dopo oltre tre decenni di presenza in questo punto nevralgico per la ristorazione capitolina, si è trovato a essere vittima di una tentata estorsione da parte di uno sconosciuto che gli proponeva un pacchetto di recensioni sulle piattaforme online. Stanco di vessazioni, Colao ha denunciato tutto al commissariato, rompendo il muro di silenzio che protegge queste truffe. Lo incontriamo nel suo locale, insieme ai famigliari che collaborano all’attività del ristorante, mentre si accinge all’apertura serale.

 

Come ha deciso di denunciare chi la minacciava?

 

Spesso e volentieri mi arrivano delle pubblicità, se vogliamo chiamarle così, da numeri telefonici del Bangladesh. Gente che si propone come professionista dei social, da Google a Instagram sino a Facebook, e ti offre pacchetti di recensioni a pagamento. In questo caso la richiesta era di 400 euro per 100 recensioni. Ho avuto la malaugurata idea di dire esplicitamente: “No, non mi interessa”. A quel punto, dopo aver proposto un pacchetto più piccolo e varie formule di pagamento, di fronte ai quali ho ribadito il mio no, una mattina mi sono svegliato e ho trovato questo messaggio: “Sono dieci giorni che ti scrivo, se non accetti comincio a metterti le recensioni negative”. Alle 9.30 ero già dalla polizia, ho mostrato agli agenti le chat, e intanto ho continuato a scambiare messaggi, dicendo chiaramente che ero davanti ai poliziotti. Ma il mio interlocutore ha continuato a insistere, anche quando gli ho inviato tramite Whatsapp la foto della denuncia appena fatta. Intanto gli agenti hanno rintracciato il cellulare: era un’utenza del Bangladesh, ma i messaggi arrivavano dall’Italia.

 

Le sono accaduti altri episodi del genere?

 

Gliene mostro uno, sempre con numero del Bangladesh. Ecco quel che dice: “Chiedi ad alcuni tuoi amici di avere recensioni da me, e allora non avrai più stress”. Quello che ho denunciato scriveva: “Il mio lavorante ha acquistato cinquecento messaggi di posta. Devo lavorare”. Quando gli ho detto che ero al commissariato di Trastevere, e la polizia stava prendendo nota delle sue minacce, in modo che qualsiasi recensione negativa sarebbe stata segnalata a Google, ha risposto: “Non ti sto minacciando. Volevi acquistare il mio lavoro. Ho avvisato i miei lavoratori e chiesto di acquistare la posta. Quindi lavorerai o farai lavorare alcuni dei tuoi amici”. Non è chiaro cosa intende. Forse acquistano degli account. “Non voglio alcun male da parte tua per me”, aggiunge.

 

Il suo è un caso isolato?

 

So di non essere l’unico a cui succedono queste cose. Il problema è che è facilissimo comprarsi pacchetti di recensioni e costruire la buona reputazione di un locale sul nulla. I personaggi che le offrono vogliono essere pagati su Western Union, in modo da non essere tracciati. Ci sono anche strutture più organizzate, che siglano con i ristoratori veri e propri contratti, in cui viene definito, spesso in uno studio di un avvocato, un pacchetto di recensioni ancor prima dell’apertura di un locale, per migliaia di euro. Poi ci sono operatori come questi del Bangladesh, che si muovono in maniera meno organizzata, mandando messaggi direttamente al numero di telefono del ristorante. Le faccio vedere un’altra cosa: qui un italiano, che mi ha contattato la scorsa estate, mi ha proposto 200 recensioni. E mi ha mandato dei link per farmi vedere come un locale che partiva su Google con punteggio 3,3 era in grado grazie al suo intervento e all’investimento di una determinata cifra di arrivare sopra il 4. Questo perlomeno proponeva una fattura, pagabile con bonifico, per pubblicità, in modo da avere la parvenza di regolarità.

 

Il suo locale ha molte recensioni su social e piattaforme?

 

No. In proporzione al volume di lavoro ne abbiamo anzi poche. La mia clientela è fatta di professionisti italiani, e al 90% di persone che fanno parte delle istituzioni e di persone che lavorano in questa zona. Esistiamo da 33 anni, sotto la proprietà della stessa famiglia. I nostri clienti storici spesso sono un po’ ‘gelosi’, e preferiscono tenersi per sé la conoscenza di questo posto. Sono in diversi a venire anche tre/quattro volte la settimana. E devo dire che a noi non accade nemmeno di essere contattati da influencer che provano a concordare uno scambio merce tra visibilità attraverso un post e la cena pagata.

 

Cosa si può fare contro queste recensioni fasulle?

 

La polizia ha preso la denuncia e ha provato a rintracciare il numero, che però è stato bloccato. Io faccio parte della Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi di Confcommercio. Insieme a loro abbiamo formulato una serie di proposte con cui si riuscirebbe a rimodulare questo mondo delle recensioni. Chiediamo che la recensione sia fatta all’interno del locale, con la tracciabilità della linea wi-fi del locale, in modo che sia sicuro che si tratta di un cliente autentico e non di un pacchetto acquistato a fronte di una proposta di uno di questi operatori. Il problema è che in questa zona sono spuntati un sacco di locali. Molti dei quali hanno insegne che citano un anno lontano, come se avessero una lunga storia. Chi compra le recensioni in 10 minuti ne vede pubblicate 50, corredate da elementi molto generici. E avere un buon giudizio sui social conta, soprattutto per ciò che riguarda la clientela straniera, che per prima cosa guarda i voti sullo smartphone.

 

Come dovrebbe essere una recensione credibile?

 

Chi fa una recensione dovrebbe in realtà raccontare un’esperienza: un piatto mangiato, o, di contro, un cameriere che lo ha trattato male. Qualcosa di preciso, corredato da, come ripeto, elementi di tracciabilità. Allora avrebbe un senso. E soprattutto la recensione dovrebbe comunque partire dal cliente. Non deve essere il ristoratore a chiederla. Purtroppo il mondo della ristorazione sta cambiando. Non può essere basato tutto sul giudizio di qualcuno che magari non ci capisce niente. Anche tra le recensioni veritiere, c’è modo e modo di fare. C’è chi ti mette una stella perché gli è arrivato un piatto un po’ salato. Può succedere: se il cliente me lo dice, glielo rifaccio. C’è anche chi esprime un voto senza scrivere nulla. Chi legge cosa capisce?

 

Cosa rischiate voi ristoratori per una recensione cattiva, magari non autentica?

 

Una mia collega ha dovuto spendere circa 800 euro per analizzare dei cibi, perché degli stranieri a fine cena hanno detto che avevano pagato troppo, e il giorno dopo hanno scritto una recensione in cui dicevano di essere stati tutti male. Lei ha chiamato la società che si occupa di farci i campionamenti del cibo, che ha analizzato tutti i lotti in laboratorio. L’analisi di ciascun lotto costa 200 euro. Ha potuto così rispondere rendendo noti i risultati e pubblicando le analisi. Ha chiesto di togliere la recensione, ma non c’è riuscita. E ha dovuto spendere già 1.600 euro di avvocato solo per provare a parlare con Google. Perché quando si segnala una recensione sospetta, o scorretta, nessuno ti risponde. Né esiste modo di avere la loro collaborazione quando si tratta di impedire una tentata estorsione. Google vuole essere perfetto su tutto dalla ricerca di un locale, alla segnalazione del parcheggio, sino alle recensioni. Allora dovrebbe offrirci anche questo servizio. Rispondono solo se vuoi fare pubblicità. Allora ti richiamano immediatamente…