L’edizione 2024 di The World’s 50 Best Restaurants ha visto la sua cerimonia di gala svolgersi nella metropoli americana. Come 15 anni fa, tornano a essere premiati catalani e baschi. Italiani sempre più giù, con l’eccezione di Enrico Crippa. Ma il sistema di votazione presta il fianco a critiche.

 

di Tommaso Farina

 

Qualcosa di nuovo, anzi d’antico s’è visto a Las Vegas. Ci sarebbe da sorridere, se non da scoppiare in una liberatoria risata, nel contemplare anche quest’anno la famigerata The World’s 50 Best Restaurants, la graduatoria di ristoranti sponsorizzata da una nota marca di acqua minerale, la cui cerimonia di disvelamento si è appena celebrata nel deserto del Nevada, nella città del peccato. E invece la cosa è fin troppo seria: con gli anni, questa rassegna è diventata seguitissima, importante, perfino cruciale, al pari delle sempreverdi stelle Michelin, e per alcuni ancora di più. Forse un giorno ci si domanderà come mai un elenco tutt’altro che trasparente, stilato da giurie composte da amici degli amici, sia lievitato al punto da portare visitatori da tutto il mondo ai ristoranti giudicati, oltretutto quasi sempre costosissimi (anche se con ragione).

 

Lo so, scrivo questa cosa tutti gli anni, da vent’anni. E, con buona pace di lorsignori, continuerò a farlo finché sarà il caso. Questa volta eviterò di riportare, come al solito, le frasi di Enzo Vizzari: l’ex curatore delle Guide dell’Espresso, ex giurato della rassegna, col tempo ha scritto parole al curaro su certe dinamiche organizzative e su come avvengono le votazioni.

 

Nell’edizione 2024 in ogni caso la faccenda ha assunto coloriture surreali. Sembra che gli egregi votanti abbiano deciso di tornare a premiare gli chef ispanici, dopo anni di momentanea conversione agli scandinavi. Il gradino più alto del podio spetta difatti a Disfrutar, posto fighettissimo nella città più fighetta di Spagna (Barcellona, per la cronaca), creatura di tre allievi del famoso (o famigerato) Ferràn Adrià, ossia del grandissimo chef che col tempo divenne però una sorta di feticcio per la critica gastronomica internazionale più acritica (quasi tutta, ma anche qui gli italiani, a suo tempo, diedero prova di sudditanza e tafazzismo rimarchevoli). Secondo posto garantito a un altro iberico, Bittor Arginzoniz, col suo Asador Etxebarri. Sì, il suono e la grafia dei nomi non ingannano: si tratta di un locale nei Paesi Baschi. Così, il profumo di anni Duemila si sente ancor più distintamente: catalani e baschi al primo e secondo posto, sembra un remake di ‘Come eravamo’. E il terzo? Manco male, ecco un francese, sia pure fuori dal coro, creato da un patron che fino a non molti anni prima faceva tutt’altro: Table By Bruno Verjus, a Parigi. E il primo posto dell’anno scorso, il Central di Lima, che fine ha fatto? Come tutti gli ex vincitori recenti, è stato ficcato nella consolatoria Hall of Fame, il pantheon delle glorie, come a suo tempo lo fu l’Osteria Francescana di Massimo Bottura.

 

Tirare in ballo Bottura significa parlare degli italiani. Che ci sono, ma in retrovia. Anzi, peggiorano il piazzamento, per quello che può valere con un meccanismo di voto tanto discutibile. Il Lido 84 di Riccardo Camanini, storico pretendente alla seconda stella Michelin mai accontentato, è scivolato al 12esimo posto, da settimo che era. Pure il Reale di Niko Romito perde terreno: 19esimo. Dietro di loro, il Piazza Duomo di Enrico Crippa quantomeno guadagna posizioni, passando dalla 42 alla 39. Curiosamente, a chiudere la lista dei 50 c’è il nostro Mauro Uliassi. Prima di lui, alla posizione numero 48, c’è un locale eccezionale (lo conosco bene) che non si trova in Italia ma in una località che appare sui libri della storia del nostro Paese: il ristorante Hiša Franko, di Caporetto, Slovenia, a pochi passi dal confine italiano.

 

Alcuni l’han proprio detto fuori dai denti: “In questa classifica, l’Italia non ha peso politico”. Peso politico? Parliamo di cucina, per quanto ricercata possa essere. Non vi sembra triste che si evochino complotti e strane teorie su quello che dovrebbe essere semplicemente un voto disinteressato di professionisti? Ecco, dicono altri: forse proprio cristallino e libero da vincoli non è. Il bello è che i premiati sono tutti meritevoli. È il processo di premiazione, a essere non esattamente al di sopra d’ogni sospetto.

 

Ph: CamilaAlmeida

 

Rimani aggiornato su tutte le novità del settore della ristorazione, dell’hospitality e del turismo!