Un divertente youtuber romano, sia pure con allusioni indirette, svela il marcio che c’è in certo sottobosco degli influencer gastronomici. Se ne interessa anche la stampa, e vengono fuori perfino dei tariffari.
di Tommaso Farina
“Ciao, siamo dei food bloggers di Roma e dintorni. Sabato 19 siamo a cena a Viterbo. Volete collaborare con noi?”: il febbraio scorso, come raccontò su Facebook, un ristoratore viterbese ricevette su Instagram questo sibillino messaggio. Il ristoratore, una persona intelligente che fa parte di una famiglia che è nel mestiere da anni, ha una sorta di campanellino che gli suona nella testa. Che vorranno mai questi ‘food bloggers’ di passaggio nella Tuscia il 19 febbraio 2022? Una collaborazione? Niente niente vorranno economizzare sul conto? Con tutta la naturalezza del mondo, il cuoco sta al gioco e risponde: “Collaborare in che senso?”. Il food blogger non si fa pregare, pur incespicando alquanto con l’italiano e passando dal ‘voi’ a un familiarissimo ‘tu’: “Ti spiego come lavoriamo. Noi solitamente ci organizziamo con i locali per sponsorizzare i loro prodotti, dopo averli provati. In seguito ad aver creato contenuti, li pubblichiamo qui su Instagram al fine di aumentare la visibilità dell’attività. In particolare, facciamo storie, post/recensione e reels. Se volete guardate il nostro profilo per qualche esempio. Se avete bisogno altre informazioni, chiedete pure!”. Il ristoratore viterbese agli odori di cucina è ben avvezzo. E in quel preciso momento, non ha dubbi: quella che sente è una distinta puzza di bruciaticcio. E cala l’asso: “La cena verrà pagata?”. Così, si scopron le tombe: “Solitamente il nostro lavoro viene anche retribuito…”. Tah-dah! Il sagace viterbese, con la sua maieutica socratica, ha fatto uscire allo scoperto gli instagrammari, che non volevano soltanto mangiare a ufo, ma anche ricevere una gratifica pecuniaria per il disturbo. Ops, per la provvidenziale attività di promozione. Il ristoratore con rispetto declina: “Non siamo soliti lavorare così. I nostri clienti vengono, pagano e cerchiamo di strappargli anche un sorriso. La pubblicità si fa in altri modi”.
Una storia edificante. Ma perché raccontarla? Beh: a fine novembre, il bubbone è scoppiato non a Viterbo ma a Roma capitale. Uno youtuber cocciuto, Alessandro Bologna, nome d’arte (anzi: da battaglia) Franchino Er Criminale, ha puntato il dito sul diffuso mercimonio che svariati influencer gastronomici, a quanto pare, mettono in atto nelle serate capitoline. Franchino fa pittoresche recensioni del mangiare romano sul suo canale Youtube. È trasparentissimo, ci mette la faccia, niente trucchi né inganni. E quando occorre, ci va giù pesante, riportando in auge il valore quasi sociale delle critiche negative. Ma ora l’ha fatta grossa: ha pubblicato un video il cui titolo, “Marchette Criminali”, lascia poco spazio all’immaginazione. È andato a verificare alcuni locali che, a suo giudizio, hanno tratto giovamento dai do ut des con gli instagrammari di turno, di cui peraltro Franchino non vuole fare i nomi perché non serve. Per non farsi riconoscere, ha sguinzagliato due amici (anzi, “infiltrati”, come dice lui), che sono andati in due paninoteche a quanto pare molto quotate sui social. Dopodiché, ha gustato i panini in compagnia di un’altra youtuber capitolina, Giuliacrossbow, al secolo Giulia Balestra. Con semplicità, i due critici giudicano, analizzano, e fanno capire che non hanno gradito granché lo spuntino. Gli oltre 200mila follower di Franchino lo vedono, ma anche molti altri.
Così, anche Repubblica si immerge nelle acque limacciose del sottobosco delle promozioni più o meno pagate, e comincia a investigare. Salta fuori che ci sono influencer che hanno il listino prezzi: 70 euro per un post, e pacchetti completi anche fino a 400 euro. Una ‘collaborazione’ duratura, sembra, può costare a un ristoratore cifre vicine ai 1400 euro mensili. Il quotidiano intervista anche un ristoratore e raccoglie varie testimonianze: si parla di pagamenti in nero e di insistenze paragonabili a quelle dei più sperimentati venditori porta a porta.
Al che, viene da dire: il sottoscritto non ha capito niente. Il mio profilo instagram, poco più di 3mila follower, ospita fotografie di piatti scattate e pubblicate aggratis, senza contratto. Forse potrei arrotondare anch’io, in quest’epoca di crisi economica generalizzata?