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LA RIVINCITA DELLE PERIFERIE

2025-10-30T14:25:41+01:0030 Ottobre 2025 14:25|attualità, in evidenza|

Sempre più indirizzi di cucina di qualità si accasano nei paesi o nei quartieri esterni delle grandi città. A Milano è quasi una necessità. Perfino Gualtiero Marchesi a suo tempo trasbordò dalla Madonnina alla Franciacorta. E il pluripremiato Niko Romito sta in cima a una montagna.

 

di Tommaso Farina

 

“Solo a Runate si può essere grandi”: così anni fa lo scrittore Camillo Langone diceva a proposito di uno dei nostri ristoranti del cuore, Dal Pescatore, tre stelle Michelin. Runate è la località del comune di Canneto sull’Oglio (Mantova) ove per l’appunto si trova la straordinaria enclave culinaria della famiglia Santini, da decenni in vetta all’empireo del gusto italico. Un paradosso? Non tanto. Runate è un caso limite: un paesino lontano dalle grandi città, buttato lì in un angolo sconosciuto della pianura padana. Eppure, ci vengono finanche dall’estero, e tutto per gustare una cucina stratosferica.

 

Non è certo il primo caso di quella che si potrebbe definire come una sorta di rivalsa delle periferie contro gli snobismi dei centri storici, in bilico tra overtourism sfrenato e prezzi alle stelle. Ieri, sul dorso milanese del quotidiano Libero, Stefano Corrada ha provato ad analizzare la questione dal punto di vista della capitale lombarda. Titolo: “Contrordine: gli chef stellati ora scelgono la periferia”. Ed ecco tutta una serie di esempi. Il precursore, secondo Corrada, è stato Aimo Moroni, che aprì nel 1962 in via Montecuccoli, una zona tuttora abbastanza defilata di Milano Ovest, ma che all’epoca lo era ancora di più. Aimo però non si è limitato a questo: era partito come trattoria di poche ambizioni, con lo stesso Dna dei tanti ristoranti partoriti da cuochi giunti dalla Toscana in cerca di fortuna. Poi, col tempo, è diventato qualcosa d’altro, ossia una delle prime tavole di Milano e di tutt’Italia, senza che la sua ubicazione non esattamente centrale gli nuocesse.

 

In effetti, puntare sulle zone più insospettabili può essere un’arma vincente. Guardiamo ancora Milano. Il ristorante di maggior blasone in centro, qual è? Probabilmente quello di Carlo Cracco, a 200 metri dal Duomo, in Galleria Vittorio Emanuele. Ma voi ci pensate, a quanto costa mantenere un locale del genere? Il solo affitto delle sale tocca quote semplicemente astronomiche, come ben sanno i negozianti del posto. La scelta di posizioni meno blasonate diventa spesso una necessità. Corrada fa l’esempio di Altatto, ristorante vegetariano sulla cresta dell’onda, che si trova in via Bonaventura Zumbini: alzi la mano chi ha mai sentito il nome di questa strada. Si trova alla Barona, quartiere popolare tra il Naviglio e l’ospedale San Paolo. Corrada scrive che si tratta di “una delle ultime insegne a essersi trasferita ai margini cittadini”. In verità, le proprietarie di Altatto anche per la precedente location avevano fatto una scelta coraggiosa: si trovavano a Greco, in via Comune Antico, al numero 15, in un incrocio tra due viuzze strette tra due rami dell’anello ferroviario, con un paesaggio degno di un film poliziottesco anni ’70 di Umberto Lenzi. A 200 metri, per dire, ci sono i capannoni del centro sociale Leoncavallo.

 

L’altro grande esempio, la Trattoria del Nuovo Macello, è da anni un vero caso di studio: proprio dirimpetto, oltre un distributore, si trovavano ancora gli antichi edifici del mercato avicunicolo (per l’appunto, il macello) di via Lombroso, demoliti nel 2023. Ora è tutto raso al suolo, e partirà un’importante riqualificazione. Ma fino ad allora, il ristorante lavorava già benissimo, proponendo una cotoletta alla milanese di valore in un’area non proprio preziosa da un punto di vista urbanistico, ma dal parcheggio facile. E se questi esempi non sono proprio stellati, poco ci manca.

 

Di stellati veri al di fuori dei centri turistici e finanziari ce ne sono moltissimi. Il Reale di Niko Romito, tre stelle Michelin sui cucuzzoli irraggiungibili delle montagne abruzzesi, ve lo ricordate? Da Vittorio, col suo relais ultra lussuoso, non è in centro a Milano, ma a Brusaporto (Bergamo), cittadina che prima del suo arrivo era nota al massimo a qualche appassionato di ciclismo. Lo stesso Gualtiero Marchesi, a un certo punto, abbandonò la grande metropoli per accasarsi nella più verde e tranquilla Franciacorta, in quell’oasi che è tuttora l’Albereta di Vittorio Moretti.

 

Nei quartieri più centrali semmai pullulano catene di ristorazione, o locali di vocazione strettamente turistica e di ben scarso interesse per l’appassionato (e spesso anche per il mangiatore di bocca buona che si accontenta). Un ristorante di classe, la cui sostenibilità economica, come tutti ricordano, in questi anni è quantomai difficile da conseguire e conservare, deve per forza scendere a compromessi, se non ha le spalle ben coperte da un grande albergo, o da qualche investitore generoso, o (si spera di no) un giro di riciclaggio. Dunque, ecco che le periferie, reali e figurate, vincono: non sono glamour, non sono chic, ma sono l’habitat ideale di chi vuole diventare grande. E magari rimanere tale.

 

In foto: Casadonna, l’hotel a Castel di Sangro (Aq), di Niko Romito, non distante da il Ristorante Reale

 

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