Report spara a pallettoni sul caffè napoletano: troppo tostato e bruciato, e spesso servito da baristi improvvisati. Replicano le torrefazioni: a Napoli ci piace così.
di Tommaso Farina
“Ah! Che bello ‘o ccafè! Sulo a Napule ‘o ssanno fa’!”. Fabrizio De André, uno dei padri nobili ufficiosi dell’italianità contemporanea, lo sapeva bene: guai a toccargli il caffè, ai napoletani. Dopo una serata televisiva come quella di domenica 15 dicembre, si poteva supporre che sarebbe scoppiato dunque un terremoto alle falde del Vesuvio.
Report, su Rai 3, ha dedicato un ampio servizio al mondo del caffè di Napoli (e non solo). Bernardo Iovene, che anni prima aveva firmato un discusso approfondimento sulla pizza, foriero di polemiche a più non posso, è tornato sul luogo del delitto, attaccando a testa bassa uno dei totem più largamente riconosciuti della napoletanità, per l’appunto ‘o ccafè. Il titolo è tutto un programma: “La Repubblica della Ciofeca”. In pratica, secondo il giudizio di Report, corroborato da quello di numerosi esperti del settore, il caffè a Posillipo proprio non va: troppo forte, bruciato e sgarbato nei sapori, privo di vera complessità. Tra le figure autorevoli interpellate in materia, figura il ‘caffesperto’ (copyright di sé medesimo) Andrej Godina, un triestino che effettivamente è uno dei maggiori luminari italiani nel campo, oltre a essere persona fine e simpatica. Godina in realtà non dice nulla di nuovo: da anni, sul web e su pubblicazioni specializzate, aveva fatto notare come anche nei bar vesuviani più storici il caffè avesse proprio quei difetti. Il peggiore è quello della tostatura: troppo scura ed eccessiva, al punto che il caffè tostato così, in tazzina, finisce per avere un sapore che da Report è stato definito “di copertone bruciato”. Tutto questo si unisce poi alla negligenza di baristi che, imputano a Rai 3, spesso non hanno alcuna formazione specifica, e talora trascurano la pulizia e la manutenzione delle macchine e degli impianti utilizzati.
Ma il problema non è solo napoletano. Godina ha infatti rivelato qualche criticità anche nell’altra grande capitale italiana della caffetteria, la sua Trieste: “Bernardo Iovene ha messo in luce la sostanziale scarsa cultura di prodotto presente a valle della filiera, ovvero sul gestore del bar e il barista. L’assaggio al Caffè degli Specchi a Trieste ha evidenziato che, nonostante i milioni di tazzine vendute, non c’è conoscenza della materia prima e del flavore di tazza”.
Si è espresso anche Mauro Illiano, curatore assieme a Godina della Guida dei caffè e delle torrefazioni d’Italia, edita da Camaleonte e dal prossimo anno destinata a entrare a far parte delle collane del Gambero Rosso: guida che peraltro si è distinta per decisioni come quella di attribuire l’award di Torrefazione dell’anno a Nespresso, nientemeno. Come che sia, Illiano si è soffermato sulle problematiche di chi il caffè lo prepara al bar: “Tranne rare eccezioni, il barista è ancora una figura assimilabile a un operatore di macchina, sprovvisto di competenze sensoriali e spesso anche di una minima formazione sulle buone prassi da adoperare per estrarre un espresso correttamente”. Proprio su questo punto si sono soffermate, concordando, le aziende Kimbo e Passalacqua, che hanno replicato a Report con comunicati e dichiarazioni. Entrambe le realtà, emblematiche del caffè partenopeo, hanno rimarcato la carenza di formazione davvero idonea per i barman, che spesso preferiscono approfondire campi come la mixology, più ‘scenica’ e ultimamente pubblicizzata. Ma riguardo il peccato (secondo Report) mortale della tostatura scura, Kimbo e Passalacqua rispondono la cosa più logica: a Napoli piace così. Il caffè forte e ‘rugoso’ è ormai un gusto introiettato nel sentire dei napoletani. Senza scomodare, come fa Massimiliano Scala, capo del marketing di Kimbo, “una naturale propensione dei napoletani per sapori più intensi, più decisi”, si può dire semplicemente che questo gusto, malgrado non sia ‘giusto’ secondo il manuale del caffè perfetto ed elegante, a Mergellina piace di più. Alla fine lo stesso Godina lo ammette: “Ci sono gli appassionati dell’Arabica, delle miscele, degli specialty tostati chiari e delle tostature scure. Ciascun consumatore può scegliere in base alle proprie preferenze e abitudini, l’importante è sempre accertarsi che trattasi di un prodotto di qualità!”. Tutti contenti, com’è giusto che sia.