Dan Barber, bistellato chef guru della cucina a chilometro e impatto zero, è stato uccellato da un’inchiesta che ha messo in luce vessazioni ai dipendenti e furbate in cucina. Quando si spendono 300 dollari a cranio, magari la cosa dà fastidio.
di Tommaso Farina
C’è sempre un puro più puro che ti epura. La massima di Pietro Nenni, ritenuta da molti niente più che una battuta, a volte deflagra con intensità insostenibile. E quest’ultima parola è azzeccata. Se vuoi sbancare il mondo imponendoti a primo della classe su questioni che l’agenda politicamente corretta ritiene vitali, devi essere senza macchia e senza peccato. Se no, il rischio è dietro l’angolo: qualcuno più ‘buono’ ti presenta il conto.
È quanto è capitato a Dan Barber, l’americano che voleva creare il “ristorante etico” modello, salvo poi venire impallinato da una lunghissima tripla inchiesta di un sito web, uno di quelli che piacciono ai millennial. Barber è un cuoco stellato, anzi bistellato: Blue Hill at Stone Barns, il suo ristorante, mantiene la doppia stella della Michelin. E ha la stella verde, quella destinata ai locali sostenibili, puliti, rispettosi dell’ambiente. Stone Barns, il luogo dove si trova il ristorante, è in effetti una vera e propria fattoria, fondata a Tarrytown, nello stato di New York, da un certo David Rockefeller (dice niente il nome?) sul sito di quello che era un vecchio caseificio. Col tempo, lo Stone Barns Center for Food & Agriculture è diventato un modello, la fattoria perfetta: tutto ecologico, tutto rispettoso, tutto in linea coi dettami del benessere animale, del risparmio energetico e del riciclo dei rifiuti. Ciliegina sulla torta fu l’assunzione di Barber, forte di un curriculum ottimo in Francia e California, e decisamente orientato verso una cucina moderna, creativa ma contadina nell’uso di materie prime tradizionali e, si può dire, a chilometro zero, autoprodotte.
Tutto bene e tutto bello? Non proprio. Proprio in questi giorni, il sito Eater.com ha lanciato l’ultima puntata di una mega inchiesta sul ristorante piuccheperfetto, da cui emergono particolari che ne ridimensionano sicuramente l’immagine buona e rassicurante. Peraltro, basta anche solo visitare il sito web www.bluehillfarm.com per notare alcune curiose chicche. Per esempio, i bambini: “La lunghezza del menù rende arduo ai bambini piccoli apprezzare la dining experience. Il ristorante non offre un menù per bambini”. Strano che un simile locale si preoccupi tanto del benessere degli animali disinteressandosi delle persone, giacché i bambini fino a prova contraria sono persone. Ma si sa: i bambini piccoli sono solo l’effetto collaterale dell’irresponsabilità che, secondo i soloni della crisi climatica e dell’estinzione umana, sarebbe connaturata a quell’atto inconcepibile che è il mettere al mondo figli, che distruggeranno il pianeta. Stiamo esagerando, ma non poi tanto.
Veniamo però alle inchieste di Eater.com. Dalle loro parole, esce fuori un vero e proprio lato oscuro. Del resto, Tarrytown è giusto poco più a sud della misteriosa Sleepy Hollow… E così, ecco dipendenti vessati e malpagati, come racconta la giornalista Meghan McCarron: “Ex cuochi, camerieri, manager ed esterni mi hanno detto che il giro di vite di Barber finalizzato a ricostruire il sistema alimentare era ben lungi dall’essere esercitato nel campo in cui lui poteva fare di più: le condizioni di lavoro del suo stesso personale. E hanno detto che il culto della cucina a Blue Hill a Stone Barns era caratterizzato da una pressione incredibile, con settimane di 70 ore lavorative e salari minimi”. E c’è di tutto: sessismo dei superiori, vere e proprie prese in giro dei clienti con cotture ‘sostenibili’ in realtà realizzate con sistemi normalissimi e abilmente occultati (il tutto per un menù che costa tipo 350 dollari), perfino molestie sessuali. Non male, per quello che era definito una specie di litigatissimo Paradiso in terra. È proprio vero: tutti hanno la loro zona d’ombra.
Immagine da: Nyeater.com