Il grande compositore Nicola Piovani si scaglia contro i sottofondi sonori dei locali pubblici. I ristoratori non ci stanno: tutto dipende dal volume. E dalla qualità dei brani scelti. I commenti di: Gennaro Esposito, Leandro Luppi, Viviana Varese.

 

di Tommaso Farina

 

Il mese di settembre porta l’autunno, con il relativo carico di mestizie e malcontenti. E il settembre 2025 non ha fatto eccezione. Lo scorso venerdì 19, La Repubblica ha pubblicato un mugugno di rara lamentosità, che se non altro ha consentito agli italiani una formidabile scoperta: dopo il fumo passivo, debellato dalla legge Sirchia, nei locali pubblici il vero flagello è la “musica passiva” (citazione diretta). Autore della prolusione è nientemeno che Nicola Piovani, uno che di musica ne mastica: compositore di colonne sonore di chiara fama, nel 1999 ha alzato la statuetta dell’Oscar, per il suo lavoro ne ‘La vita è bella’ di Roberto Benigni. In realtà, Piovani non avrebbe proprio tutti i torti: la sua arringa, sebbene un po’ funerea, contiene un anelito al silenzio, che in effetti è un bene che va sempre più scomparendo. Il celebre musicista tuttavia ha attribuito il ruolo di killer alla “musica passiva”, ossia quella in cui ci si imbatte perché diffusa dagli altoparlanti di negozi, stazioni, bar. E ristoranti. Piovani fa proprio l’esempio dei ristoranti, rivelando come un amico del mondo del cinema, prenotando un locale, chiedesse sempre se in sala fossero previsti sottofondi musicali: in caso ci fossero stati, la tavola veniva cassata senza pietà, optando per un altro indirizzo.

 

La cosa ha fatto parecchio rumore, nel giro della ristorazione. I fruttivendoli e i negozianti di vestiti hanno tirato dritto, i ristoratori no. Anche perché sono stati interpellati alla bisogna. Cori piuttosto sdegnati si sono levati da Massimo Bottura, Ernesto e Livia Iaccarino, Cristina Bowerman.

 

Personalmente, amo la musica al ristorante, ma essa non diventa mai un fattore determinante nel farmi decidere di ritornarvi. Sia che mi piaccia, sia che non mi piaccia. Mi è venuto a noia il cool jazz tutto uguale, magari italiano, piazzato a bella posta nelle tavole più fighette. E ricordo anche cose molto più terra terra, come quel che udii in un ottimo ristorante brianzolo che purtroppo ha chiuso: il patron per errore aveva bloccato la ripetizione di una traccia di un cd delle famigerate melodie di Richard Clayderman, così per due ore nelle orecchie ronzava la medesima solfa, peraltro ridotta a un brusio impercettibile dagli altoparlanti casalinghi. Mi commuove ancora il ricordo, viceversa, del ristorante Ambasciata di Quistello (Mantova), dove Carlo e Romano Tamani avvolgevano lo sfarzosissimo ambiente rococò con le note soffuse di Bach e di Mozart.

 

Per non essere da meno, tuttavia, ho chiesto anche ad altri cuochi e ristoratori cosa ne pensassero. Il primo che ho voluto stuzzicare è stato Gennaro Esposito, musicofilo incallito ma anche cultore impenitente dell’alta fedeltà, uno che nel suo tristellato Torre del Saracino a Vico Equense (Napoli) ha un impianto con preamplificatore McIntosh, un lettore cd Accuphase e un amplificatore valvolare, roba che costa come un’automobile. Ebbene, lui sostiene che nonostante tutto Piovani qualche ragione ce l’abbia: “Non dice cose del tutto sbagliate. La musica è una magia, ma basta un errore per mandare tutto a catafascio: una playlist scelta male, il volume troppo alto… La musica è come un ingrediente: deve avere il suo senso nel contesto, e va dosata con attenzione. Io personalmente la diffondo, ma nel modo più adeguato e gradevole per la clientela”.

 

A latitudine decisamente più nordiche, Leandro Luppi, una stella Michelin col Vecchia Malcesine nell’omonimo paese sul Garda, è meno conciliante: “Un ristorante non l’ho mai considerato come una chiesa. Senza contare che la mancanza di musica, in una sala da pranzo, non fa emergere certo il silenzio assoluto agognato da Piovani. Io faccio sentire jazz, Pink Floyd, rock: una playlist con otto o nove ore di musica, che i clienti apprezzano moltissimo”.

 

Ancora più tranchant Viviana Varese, già stellata a Milano e oggi alle dipendenze dell’Hotel Passalacqua di Moltrasio (Como): “Una polemica che proprio non capisco. Una volta in Spagna andai in un ristorante stellato che non aveva musica: un disastro! Una serata tetra. Nossignori, un po’ di musica deve esserci, naturalmente a intensità giusta. Senza musica non saprei stare”.