Un’esperienza gastronomica ottima, a cui è valsa pure la menzione sulla celebre guida, in una location insufficiente: il locale è in realtà una grande veranda, peraltro infestata da cimici, e il servizio impreparato. L’eccellenza non passa solo dalla cucina.
di Andrea Dusio
Dove andiamo oggi a pranzo? È il due novembre, sabato di un ponte in cui le città si sono mezzo svuotate, e così anche Roma. Proviamo a chiamare un paio d’indirizzi fidati fuori porta. Tutto pieno. Mi ricordo allora della guida Gambero Rosso 2025, appena uscita. Sono stato alla presentazione, e mi è venuta voglia di provare un posto nuovo. Trovo un ristorante di Ronciglione, sul lago di Vico, a poco più di un’ora da casa. 90 coperti, magari hanno posto. Il nome è Riva Felice. Chiamo, rispondono subito, prenoto l’indomani per le 13. La recensione assegna un gambero, il simbolo usato per le trattorie, che significa “buono”, e inserisce il locale nella prima fascia prezzo sino a 50 euro. Tra gli altri simboli sono indicati i tavoli all’aperto e l’accesso consentito ad animali di piccola taglia. Il locale è infatti in prossimità di una bella spiaggia. Il lago di Vico si trova a un’ora da Roma, nella conca dei Monti Cimini. È un luogo poco antropizzato, contornato da belle faggete e paesi storici molto interessanti, come Caprarola. È perfetto per una gita fuori porta.
La giornata è bella, mite, da ottobrata romana, ma quando arriviamo ci rendiamo conto che il ristorante consta in realtà di una grande lunga veranda affacciata sulla spiaggia e un secondo spazio, a ridosso, che da un lato è chiuso da una vetrata e sugli altri due da elementi di muratura e un tettuccio di plastica, sovrastato dai castagni. La sensazione, anche termica, è di stare all’aperto. Non esiste una sala tra quattro mura, e questo la guida non lo dice. Mentre stiamo ordinando, un bambino si aggira tra i tavoli proponendo l’acquisto di castagne e miele. Un po’ inusuale. Al tavolo a fianco chiedono un consiglio sul vino. “Non saprei, io non bevo”, spiega la cameriera, molto giovane. Il cibo è ottimo, come da attese. Mia moglie prende crema di fave con cicoria e crostini e il maialino arrosto con patate. Io tortorelli (pasta fresca) al coregone e luccio alla brace in salsa verde. La specialità è il pesce di lago. Ottimo il vino rosso della casa. Intanto però a funestare il pranzo sono arrivate le cimici. Ne noto un paio sulla vetrata della veranda, dietro a dove è seduta mia moglie. La cameriera premurosa le cattura e porta via. Ma è pieno. Ce ne sono altre due, tre, cinque. Pazientemente mi alzo, le prendo, le schiaccio. Ma devo passare il tempo con gli occhi levati in alto. Lo stesso nei tavoli a fianco. Lo facciamo notare. “In Tuscia abbiamo chiesto la calamità naturale, ne abbiamo milioni”. Tutto vero, è una vera iattura, che sta distruggendo anche le preziose coltivazioni di nocciole della zona. I ristoratori, così come i coltivatori, ci possono fare poco, se non chiedere interventi di disinfestazione più massivi. Ma il selezionatore del Gambero non ha minimamente tenuto conto di quest’elemento. Mia moglie si stranisce, come si dice a Roma, e appena abbiamo terminato i secondi decidiamo di pagare e andarcene a prendere il caffé altrove. Il conto, 80 euro, è corretto. Conosciamo locali sul lago di Bolsena, a poche decine di chilometri di distanza, che propongono questa cucina allo stesso prezzo, ma con una qualità decisamente inferiore. C’è ancora un però: le toilette, ospitate in prefabbricati di legno. Oggettivamente non il massimo.
In macchina ci diciamo che a fronte dell’ottima cucina e del costo abbordabile, non ci torneremo. Per le cimici, per la temperatura, per i bagni. Anche se abbiamo mangiato bene. Ma il punto è: il recensore del Gambero Rosso che è stato in questo locale, non ha notato quello che non è piaciuto a noi? La reputazione del brand della guida rimanda a un’assoluta eccellenza, che investe tutti gli aspetti, non solo la cucina. Dunque caro Gambero, per quanto mi riguarda stavolta hai toppato, vediamo la prossima.