La Guida Rossa ha tolto il macaron alla Clinica Gastronomica di Rubiera (Re), che lo deteneva dal 1959. Poco male: per mangiare da loro la lista d’attesa è di mesi. E il trattamento è sempre lo stesso. La gente lo sa e ci torna.
di Tommaso Farina
Una stella persa fa più rumore di tre conquistate. L’edizione 2025 della Guida Michelin ha fatto un bel botto, forse premeditato. E non si tratta solo dell’ingresso nel club dei tre stelle di La Rei Natura, il ristorante del Boscareto Resort di Serralunga d’Alba (Cuneo): dell’impresa di Michelangelo Mammoliti si è parlato, certo, ma la sua performance gloriosa è stata oscurata dalla penalizzazione di altri. E tra questi altri, c’è stata la Clinica Gastronomica Arnaldo.
Dietro questo nome c’è un vero tempio del buon gusto, che iniziò a chiamarsi così quando il padrone, Arnaldo Degoli, volle scherzosamente contrapporsi a un dottore del policlinico di Modena, fedele cliente della trattoria che la sua famiglia gestiva a Rubiera (Reggio Emilia) dal 1936: dalla tua clinica talvolta si esce tristi, dalla mia sempre felici, pare avergli detto sorridendo. E in effetti, la locanda di piazza XXIV maggio da quella lontana epoca ha appagato in pratica quasi tutti. In primis, gli ispettori della neonata edizione italiana della Michelin, che nel 1959, il primo anno in cui vennero rilasciate le stellette, ne attribuirono una a Diegoli e famiglia. Stella che, a parte un interregno di sospensione a fine anni Novanta, tanto breve che di fatto nessuno lo ricorda, la Clinica ha mantenuto fino a oggi. O meglio: fino a novembre 2025. La Michelin ha escluso Arnaldo dal club stellato, di cui era il più annoso membro.
La notizia ha travalicato le pubblicazioni gastronomiche, assieme alla giubilazione dell’altro grande escluso, Gianfranco Vissani. Possibile che una stella levata alla Clinica abbia fatto meno sensazione di quelle tolte, per dire, a Porta da Basso di Peschici (Foggia)? O della riduzione da due a una del Miramonti l’Altro di Philippe Léveillé di Concesio (Brescia), a mio parere incomprensibile? Moltissimi si sono dispiaciuti per Arnaldo. Altri se ne sono usciti così: “Era anche ora, era assurdo che fosse stellato”. Tale sentenza, in quella che sembra la sua lapidaria stupidità, fa però pensare: come mai un ristorante è “assurdamente stellato”? Cosa lo rende tale? Cosa fa attribuire davvero la stella? Si torna sempre lì: i criteri Michelin sono misteriosissimi.
Io la Clinica la conosco bene. Non lo nascondo, è uno dei miei ristoranti del cuore. Mi piace l’ambiente, le grandi sale con dipinti a olio, nature morte alle pareti, sterminati e comodissimi tavoli tutti rotondi, affettatrici, giradischi antichi. Il servizio curato dal personale in uniforme ti accompagna con competenza, come in un vero stellato. La cantina offre un panorama esaustivo di grandi bottiglie internazionali che vanno a braccetto col re di Modena e Reggio: il Lambrusco. E difatti, servono ad accompagnare una cucina che celebra la grande civiltà emiliana: erbazzone, salumi, mortadella tagliata al momento, i cappelletti in brodo (anzi, “Brodo con cappelletti”: menù dixit) tirati tutte le mattine dalle donne del locale, i tortelli d’erbette, le tagliatelle, la leggendaria spugnolata (lasagna che, nella stagione giusta, è fatta coi funghi spugnole tanto amati in Francia). Largo poi al carrello dei bolliti, una fuoriserie su quattro ruote, carica di magnificenza. Arrivano su carrello anche i ricchissimi dolci.
È curioso che quello che mi sono domandato io se lo sia chiesto pure il direttore di Italia a Tavola: “Qualcuno può seriamente pensare che questo tempio della cucina di territorio perderà un solo cliente?”. Provate a prenotare la domenica a pranzo in periodo invernale: auguri. Vi capiterà come a Fantozzi per la settimana bianca in ‘Fantozzi contro tutti’: finirete a metà maggio dell’anno successivo. E pure andando a pranzo in settimana, momento in cui vi siederete senza troppe difficoltà, noterete che i tavoli vuoti sono pochissimi. 80 coperti in scioltezza, tutti i giorni. Esagererà Dominique Antognoni, l’acuminato collega secondo cui il valore di un ristorante si misura da quanto la sala è piena. Un punto però lo coglie: quel che conta è soddisfare il cliente. Alla Clinica questo succede: “Arnaldo non perderà manco un cliente. Scommetto che la stragrande maggioranza dei suoi clienti non sa nemmeno che andava in uno stellato, e ora se ne sbatte se la stella non c’è più. Loro vanno da Arnaldo. Punto. E stanno da Dio”. Roberto Bottero, nipote di Arnaldo lo sa. Ringrazia per l’attenzione e non cambia musica.
Ph: sito web Clinica Gastronomica Arnaldo
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