A New York un italiano si inventa un cappuccino con latte di bufala e foglia d’oro in cima. Prezzo: 20 dollari. I commenti non proprio sobri della stampa sono divertenti. Ma viene voglia di provarlo davvero.
Tommaso Farina
Tu chiamale, se vuoi, adorazioni. “È un autentico colpo di genio, figlio di mille riflessioni, quasi filosofiche”: apri i giornali, e ti trovi scritto questo. Di che si tratta? Una teoria sulla fissione nucleare? Un poderoso tomo di geopolitica? Un sistema metafisico nuovo di zecca nato da un discendente di Husserl o Popper? No: l’oggetto di tale sobria definizione è un cappuccino. Per carità, un cappuccino particolare: è quello fatto col latte di bufala, ideato a New York dall’italiano Giuseppe Bruno, proprietario dei ristoranti Sistina e Caravaggio. I quali, come ci spiega il giornalista con stile asciutto e scevro d’ogni retorica, “sono due istituzioni inarrivabili della cucina e dell’italianità”. Tutto questo è apparso su La Cucina Italiana, un’istituzione della stampa gastronomica italica. L’autore, Luca Marfè, sicuramente in altre occasioni si è reso protagonista di prese di posizioni davvero anticonformiste sugli argomenti più disparati, sa scrivere ed è uomo colto. Ma simile dispiego di aggettivi, in questo caso, non sarà un po’ eccessivo?
Il cappuccino di Bruno ha anzitutto fatto notizia per il prezzo: 20 dollari statunitensi. Un listino tutt’altro che economico anche per la Grande Mela, che probabilmente oltreoceano in quanto a carovita viene superata solo da Los Angeles e soprattutto San Francisco. Oltretutto, la tazza di cappuccino, effettivamente invogliante alla vista, è impreziosita da una foglia d’oro, che per fortuna richiama alla mente più Gualtiero Marchesi che non il trucissimo e pacchiano Salt Bae. La tazzina stessa fa la sua figura: è un vintage di Richard Ginori, che fa pensare alle porcellane della nonna, ma una nonna particolarmente elegante e di buon gusto. Ma veniamo ora alle riflessioni “quasi filosofiche”. Eccone una: “Il cappuccino non va fatto con la schiuma: il cappuccino va fatto con la crema”. Tutto qui? Poi: “La crema naturalmente non è montata, ma è un’estrazione della macchina. Il segreto? La temperatura giusta”. Sacrosanto. E poi? Finito. Non si leggono altre riflessioni dello chef Bruno, ma altre considerazioni di tipo tecnico. Ma allora, perché evocare nientemeno che la filosofia, se all’autore del cappuccino non viene dato modo di dire altro? Forse Marfè, partenopeo verace e simpatico, molto presente sui social con battute spesso fulminanti come il morso del cobra, si è lasciato trasportare da una empatia derivata da comunanza d’origini: Giuseppe Bruno è campano come lui.
Se non altro, ci viene spiegato come nasce questo cappuccino: dal latte di bufala. Latte che poi, a seconda della provenienza, assume connotati diversi, come spiega lo stesso Bruno: “Cambia di zona in zona. Quello di Battipaglia ad esempio, rispetto a quello di Caserta, è più… femminile. Non saprei come altro dirlo”. È esattamente così: le mozzarelle di bufala della Piana del Sele da sempre sono più gentili e delicate di quelle aversane, più sapide e sostenute. Sarebbe interessante a questo punto capire da dove provenga il latte di bufala utilizzato. Dall’articolo, non si evince esplicitamente, anche se pare italiano. Ma allora, non fa forse un viaggio troppo lungo? In America, qualcuno che alleva le bufale c’è: per esempio, l’italoamericano Craig Ramini, che cominciò in California con difficoltà oltre dieci anni fa, e oggi riesce a fare delle mozzarelle di successo che sarebbe interessante assaggiare. Questo cappuccino lo proveremo, e ve lo racconteremo noi. Più Luxury di così…