Bruxelles (Belgio) – Il dibattito sulla dealcolazione del vino, portato alla ribalta da un comunicato stampa allarmistico diffuso da Coldiretti (leggi qua), vede le principali associazioni di settore prendere posizione su un tema delicato e sul quale non ci sono ad oggi posizioni certe. La controversia è sorta dopo che il 26 marzo scorso, al trilogo tra Commissione, Consiglio e Parlamento Ue, si è discusso di una possibile apertura alla pratica di eliminare (totalmente o parzialmente) l’alcol nei vini da tavola e ridurlo nei vini Dop e Igp. Ma se per l’aggiunta di acqua al vino – denunciata da Coldiretti – sembra esserci una smentita ufficiale da Bruxelles, come riporta l’Agi, quello dell’abbassamento del grado alcolico è un tema non nuovo per il settore, come ricorda il presidente di Federvini Sandro Boscaini: “Dal 2008 la Ocm vino ha tolto la esclusività dell’impiego della parola ‘vino’ al solo prodotto ottenuto da uve fresche anche in caso di locuzioni (es. vino di frutta). Quella Ocm consentì agli Stati membri di adottare norme nazionali per regolare tali situazioni. Francia, Spagna e Germania, ad esempio, adottarono norme nazionali che definivano il ‘vino dealcolato’ e il ‘vino parzialmente dealcolato’. L’Italia si è limitata a consentire alcune eccezioni nel caso di prodotti ‘tradizionali’ (ad esempio il vino di ciliegia)”. Oggi l’Ue riprende la questione con l’obiettivo di darle una cornice unica all’interno della nuova Politica agricola comune (Pac), che entrerà in vigore da gennaio 2023. “Un passo necessario ed utile”, sottolinea Boscaini, secondo cui “il rischio di vedere delle Do dealcolate è inesistente a meno che i produttori non decidano di modificare i propri disciplinari”. Anche Paolo Castelletti, segretario generale Unione italiana vini, interviene in materia: “Siamo attenti ma non allarmati rispetto al tema dei vini dealcolati, la cui proposta della Dg Agri risale al 2018 e sulla quale Parlamento e Consiglio si sono già espressi da diversi mesi”. E aggiunge: “Per Uiv è importante che queste nuove categorie rimangano all’interno della famiglia dei prodotti vitivinicoli, come tra l’altro riconosciuto dall’Oiv, per evitare che possano divenire business di altre industrie estranee al mondo vino e che dunque siano le imprese italiane a rispondere alle richieste di mercato”. Uno degli obiettivi di questa apertura sarebbe infatti intercettare la domanda di Paesi con un’elevata capacità di spesa ma che per ragioni culturali non consentono il consumo di bevande alcoliche, come quelli arabi. Pur concordando su tali opportunità Luca Rigotti, di Alleanza Cooperative Agroalimentari, sottolinea che “non si può chiamare vino un prodotto assai lontano da quello originale”, ragion per cui “la nostra posizione è che essi debbano essere chiamati diversamente, ad esempio bevande a base di vino”. Di parere simile anche l’eurodeputato Paolo De Castro: “Un vino senza alcol non può essere definito tale, per questo il Parlamento Ue si è sempre espresso contro, anche se comprendiamo le opportunità commerciali e d’export che vini a basso tenore alcolico avrebbero in alcuni mercati”. Inoltre, sebbene per le Dop e le Igp nella bozza di testo si parli solo di dealcolizzazione parziale, secondo Rigotti “ciò non è in alcun modo sufficiente per tutelare i vini di qualità”. Parere contrario alla proposta è stato espresso negli scorsi giorni dal titolare del Mipaaf, Stefano Patuanelli, secondo cui “la discussione che si sta tenendo in Europa sulla possibilità di autorizzare nelle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol […] contiene proposte che il nostro Paese non intende assecondare”. Il prossimo incontro tra i negoziatori è previsto per il 25 e 26 maggio.