Il ministro dell’Agricoltura punta il dito contro i rincari: fanno scappare i clienti. I professionisti sono d’accordo. Certe bottiglie al tavolo costano fino a dieci volte di più che in cantina. Non va bene, anzitutto per i consumi.
di Tommaso Farina
Sarebbe giusto “evitare moltiplicazioni eccezionali dei prezzi del vino”: e fu così che anche Francesco Lollobrigida, il ministro dell’Agricoltura, si scagliò contro i ricarichi eccessivi delle bottiglie nel mondo della ristorazione. L’ha fatto qualche giorno fa, a margine di un convegno di Confcooperative Fedagripesca, in cui ha illustrato i suoi pareri sull’andamento del mercato e sulla campagna di comunicazione vitivinicola straordinaria da mettere in atto con il supporto dell’agenzia Ice. La cosa, com’è prevedibile, ha suscitato reazioni: l’argomento dei rincari al ristorante è uno dei punti caldi del settore.
Lollobrigida ha anzitutto ribadito “grande stima per il mondo della ristorazione, che è la rete più forte che abbiamo”, ma poi ha messo tutti in guardia: i vini venduti a 50 euro quando in origine ne costano dieci “inducono a ridurre il consumo o addirittura a sostituirlo con alternative di più facile consumo, come ad esempio i cocktail”. Conclusione? La comunicazione dell’elemento vino “è una responsabilità che hanno anche le nostre catene distributive”, di cui ristoranti ed enoteche sono pilastro fondamentale.
I ristoratori e i professionisti hanno reagito. A commentare le parole di Lollobrigida ci hanno pensato anzitutto quelli animati da un preconcetto politico. Per loro, Lollobrigida avrebbe potuto dire che l’acqua è bagnata, e avrebbero inveito ugualmente. Ci sta, fa parte del gioco. Altri invece, non esattamente simpatizzanti del ministro, gli han dato ragione: non è stato infrequente leggere commenti tipo “È la prima cosa giusta che ha detto”.
Uno degli interventi più interessanti è stato quello scritto da Daniele Pasquali, attualmente direttore commerciale della cantina di Bruno Vespa, abituato a esprimere liberamente opinioni spesso non troppo popolari. Nella fattispecie, sta col ministro: “Ha ragione. Vendere vini con un moltiplicatore per quattro o per cinque più Iva è un errore enorme. Contrae i consumi, abbassa margini e fatturato e danneggia le aziende vinicole. Poi uno deve sentirsi dire che un prodotto a cinque euro franco cantina è costoso… Grazie, se lo mettono in carta a 25 se non oltre è ovvio che sia così”. Pasquali racconta ciò che vede: “Parlo del mio territorio abruzzese, non di Milano. È completamente sparita la fascia di ingresso sotto i 15 euro a bottiglia, mentre le cantine vendono gli stessi vini base del territorio al massimo a un euro in più. Un tempo si vendevano Montepulciano d’Abruzzo di base a quattro euro più iva e li trovavi in carta a 10-12 euro. Oggi non trovi nulla sotto i 20-25 euro. Gli stessi prodotti che i produttori vendono agli stessi prezzi di una volta”. E non si tratta di produttori sconosciuti, fa presente Pasquali, ma di gente come Zaccagnini, Illuminati, Masciarelli, Lepore, autori di “vini che storicamente avevano delle fasce di ingresso che avvicinavano giovani e consumatori meno esperti al piacere di una bottiglia sul tavolo”. E al Nord? “A Milano c’è una ristorazione che ha la fascia di ingresso minima a 50 euro a bottiglia. Vini da cinque-sei euro venduti a 50”. Pasquali ha un monito finale: “Guadagnate meno su ogni bottiglia e vendetene di più, vedrete che alla fine dell’anno avrete guadagnato più denaro di quanto ne guadagnate oggi”.
È dello stesso avviso anche Giorgio Syrigos D’Arpe, ex fiduciario di Lecce per la Fondazione Italiana Sommelier: “È sotto gli occhi di tutti che molto spesso il vino è rivenduto con ricarichi eccessivi, cinque o sei volte il costo sostenuto dal ristoratore”. Secondo D’Arpe, troppi ristoratori non offrono nulla che giustifichi simili rincari: “Spesso il servizio del vino (tecnica di servizio in senso stretto, racconto del vino/vitigno/territorio e abbinamento alle pietanze) non è minimamente all’altezza del costo sostenuto dal cliente. Le carte vini spesso e volentieri sono prive di un’idea alla base, di una logica, perché legate a quella che è la convenienza commerciale dei distributori/agenti e non ispirate da una vera cultura del vino”. Naturalmente D’Arpe precisa che non ovunque così: i ristoratori che non praticano aumenti illogici e offrono cantine stimolanti esistono eccome. “Molto spesso, quasi sempre, è una scelta vincente perché fidelizza il cliente”, conclude: già, il cliente. Il cliente spesso è ritenuto un elemento quasi secondario. Eppure è lui che spende. Lollobrigida sarà politicamente antipatico, ma proprio tutti i torti non ce li ha.
