Lo storico ristoratore ci ha lasciato a soli 73 anni. La sua bistecca, rigorosamente al sangue, è entrata nella leggenda, ma i clienti che si accodavano fuori dal locale amavano il suo intero repertorio di ricette toscane. Ora sarà la figlia Emilia a portare avanti una tradizione che dura dal 1914.
di Tommaso Farina
La bistecca alla fiorentina “nella costola” e la bistecca alla fiorentina “nel filetto” hanno un asterisco, sul menù su cui sono riportate. “Ahia, usano carne congelata?”, sarà il vostro pensiero pieno d’apprensione. E invece no. L’asterisco riporta un imperativo categorico: “La bistecca è solo al sangue”. Da Il Latini, in via dei Palchetti a Firenze, funziona così: se si vuole la bistecca “ben cotta”, conviene ordinare altro. Se la fiorentina, intesa come taglio di carne e preparazione, è una delle religioni a Firenze (l’altra è la squadra di calcio dai colori viola), Il Latini ne è uno dei templi. Di questa cattedrale della cucina toscana oggi però dobbiamo parlare con un velo di tristezza: il suo pontefice è volato al Cielo. Il leggendario Torello Latini, istrionico e carismatico patron, è venuto a mancare, poche sere orsono. Aveva 73 anni. Martedì ci sono stati i funerali, e la chiesa di Santa Trinità, a pochi passi dal ristorante, era gremita di gente. Era impossibile volergli male, al Torello.
Il suo ristorante era davvero un ristorante di famiglia: il nonno Angelo l’aveva aperto nel 1914 come semplice fiaschetteria, e la relativa scritta è rimasta ancora oggi, proprio sopra l’insegna verde che, toscanamente, recita “da Il Latini”. La svolta verso la ristorazione avvenne con Narciso, figlio di Angelo e papà di Torello, una quarantina d’anni dopo. Col tempo, la cucina toscana del Latini divenne proverbiale. “Fedele a se stesso da sempre, il Latini è un’istituzione a Firenze e la tradizione continua nel suo filone toscano classico con salette dal carattere rustico e tante ricette della tradizione eseguite con attenzione e rispetto”, recita la guida Michelin, che giustamente lo cita dalla notte dei tempi. Dicono che nelle città turistiche si deve venire incontro al mercato, servendo anche piatti ‘da turisti’. Ecco, se fosse vero dovremmo dire che Latini non cerca di andare tra le braccia di questo presunto ‘mercato’, visto che di piatti turistici come gli spaghetti alla bolognese non c’è l’ombra. Eppure, è sempre pieno. Forse sono proprio questi piatti, quelli che i turisti vogliono dal Latini? I crostini toscani, il prosciutto tagliato a mano, le cipolle sotto la cenere, la pappa al pomodoro, le penne strascicate (ossia parzialmente cotte dentro un ragù di carne), la trippa, lo stracotto, il galletto al mattone, lo strepitoso Gran Pezzo (filetto cotto intero al carbone): ecco la liturgia. Per queste cose, il pubblico faceva (e fa) la coda. Ma soprattutto, l’oggetto del desiderio era sua maestà la bistecca alla fiorentina. Oggi, i grandi esperti di griglia formatisi alla scuola americana guardano la cottura tradizionale toscana con un po’ di sufficienza: “Stracotta fuori, cruda dentro”. Ok, con la cottura inversa e il termometro a sonda la bistecca viene meglio, lo ammettiamo. Ma anche a farla alla toscana, se è come quella del Latini, il capolavoro gustativo è dietro l’angolo. Oltretutto, fino a qualche anno fa (non sappiamo se le cose siano cambiate nel frattempo) Latini era uno dei non molti esercizi pubblici locali a detenere la licenza per cucinare a legna: capite che è tutt’altra cosa.
Tra i mangiatori di bistecca da Latini, va certamente citato Bill Clinton, da sempre estimatore, ma anche Piero Pelù, il regista Carlo Lizzani e numerosissimi altri. E non solo vip o sedicenti tali: Torello Latini non disdegnava nessuno alla sua tavola. Perfino il prezzo della fiorentina al chilo è inferiore di almeno 10-15 euro rispetto a quello che si rinviene nei ristoranti di Milano che la servono: affordable luxury l’abbiamo già detto? A celebrare la sua figura ha provveduto sul Corriere della Sera perfino Aldo Cazzullo, a suo tempo insignito del premio Amici del Latini, che il funambolico Torello istituì a partire dal 1982: “Da Torello non si andava solo per mangiare e bere. Si andava per chiacchierare, per farsi raccontare un aneddoto della storia di Firenze – il suo preferito era quando i Medici squartarono i Pazzi e ne appesero i resti fuori dal Bargello -, un pettegolezzo sul sindaco, un dettaglio di cronaca. Se non fosse stato un grande ristoratore sarebbe stato infatti un ottimo cronista, e in fondo lo era”. Ora sarà Emilia, la figlia, a proseguirne l’epopea. Da parte nostra, i migliori auguri.