Un articolo sugli orari di apertura dei locali fa balenare un senso di fastidio dei gestori nei confronti della clientela. Ora, anche telefonare per prenotare sembra essere una pratica malvista. Sarebbe bello sapere perché.

 

Tommaso Farina

 

Chiudere presto o tardi? Cenare col cronometro o starsene tranquilli al tavolo? La discussione è aperta. Luisa Morsello, la scorsa settimana su Il Gusto, dorso gastronomico delle testate del gruppo Gedi, ha voluto toccare un tema di cui non si parla molto. Ma, a quanto pare, viste le reazioni, l’argomento sembra molto sentito da pubblico e operatori: l’orario di chiusura delle cucine dei ristoranti. Ne sono venuti fuori dati interessanti.

 

Riportando le rilevazioni fatte dall’Osservatorio Turismo Cashless, sembra che nel settore della ristorazione oltre metà delle transazioni con carta di credito (il 56,4%) avvenga dopo le 21. Tuttavia, emergerebbe un dato inedito. Pare che quelli che in certi Paesi vengono chiamati early birds siano in aumento: l’Osservatorio ha appurato una crescita del 13% per i pagamenti fra le 18 e le 21. Naturalmente tutto dipende dal luogo: in una città turistica, gli orari saranno giocoforza più ampi. E nel Sud Italia non sono infrequenti casi di ristoranti in cui la cucina chiude addirittura alle 23, e oltre.

 

Personalmente, credo che consentire ai clienti un orario più ampio in cui mangiare sia un atto di pura civiltà, naturalmente se l’organizzazione lo consente. C’è chi non la pensa in tal modo, come Alessandro Gilmozzi, degli Ambasciatori del Gusto, intervistato proprio da Luisa Morsello, che sembra parteggiare per finestre di apertura più contratte, così motivando: “È una questione di sostenibilità per i lavoratori, insieme ai due giorni di riposo e per contenere il tutto nelle 40 ore settimanali”. Nell’articolo viene poi intervistato un altro professionista: Filippo Sangalli, di Euro Toques. Costui nota semmai che la clientela sempre più richiede cucine in grado di soddisfare richieste anche più tardi del solito. Lui stesso, che opera a Bolzano, ha deciso di posticipare lo spegnimento dei fornelli di 45 minuti. Del resto, chi fa riferimento agli Stati Uniti e alle loro cucine che chiudono prestissimo, dimentica che di solito i ristoranti a stelle e strisce aprono la mattina e fanno orario continuato fino a sera: a Los Angeles, ai tavoli si vede sempre seduto qualcuno, anche in orari impensabili. Occorre contestualizzare. Il sottoscritto ama cenare molto presto. Però la comodità di un servizio (perché il ristorante è anzitutto quello) in orari meno canonici è apprezzata, tanto che le guide del settore la menzionano sempre, se viene offerta.

 

Vorrei tornare solo per un minuto a Gilmozzi. Il ristoratore ha aggiunto un particolare che c’entra relativamente, ma fa riflettere: “Attualmente in Italia il tavolo viene prenotato ancora al telefono e invece noi spingiamo perché lo si faccia via mail”. Curioso. Ora anche prenotare per telefono sarebbe un problema? E dove, di grazia? Mi sembra semmai che oggidì si sia diffuso sempre di più il costume di consentire prenotazioni soltanto da siti internet, previa compilazione di moduli degna della burocrazia di Budapest nella Cortina di Ferro, e con limitazioni ai confini del diktat. Il problema di telefonare per prenotare, esattamente quale sarebbe? Forse è seccante rispondere a chi chiama durante il servizio; questo è il motivo più plausibile. Ma ultimamente (e accetto smentite) pare che alcuni ristoratori passino la loro vita a difendersi dai clienti, dipinti come furbastri che prenotano per finta, per poi non presentarsi al tavolo, quasi fosse la norma. Ora, sembra serpeggiare un’insofferenza per le prenotazioni telefoniche. Sinceramente, quando sto in macchina e voglio chiamare un ristorante, non mi fermo in una piazzola per riempire ridondanti modulistiche: dal volante, invoco la sempre provvidenziale Siri, che cerca il numero e me lo chiama con l’apparato in viva voce dell’automobile. Cinque secondi e l’ho fatto, e tutti contenti (naturalmente se c’è posto).