IL SITO DEDICATO AI RESPONSABILI ACQUISTI, CHEF E SOMMELIER DELLE GRANDI CATENE ALBERGHIERE E DEI RISTORANTI DI LUSSO

TROPPE STELLE DANNO ALLA TESTA?

2024-10-24T14:24:07+02:0024 Ottobre 2024 14:24|attualità, in evidenza|

Dopo aver rinunciato al riconoscimento Michelin, i proprietari del Giglio di Lucca sono stati nominati Ristoratori dell’Anno del Gambero rosso. Motivo? “L’attenzione scrupolosa alle esigenze dei clienti”. Scusate se è poco. Eppure non sta bene a tutti.

 

di Tommaso Farina

 

Rifiutano la stella Michelin, e diventano Ristoratori dell’Anno. Sembra quasi una beffa, la storia recente di Benedetto Rullo, Lorenzo Stefanini e Stefano Terigi, i tre ormai ben noti moschettieri del ristorante Giglio, di Lucca: hanno detto di voler rinunciare alla prestigiosa tacca conferita dalla Guida Rossa, e contemporaneamente si sono conquistati un riconoscimento sulla Guida Ristoranti del Gambero Rosso, presentata pochi giorni fa. “L’attenzione scrupolosa alle esigenze dei clienti, la cura trasversale dell’ospitalità e dei servizi correlati alla cucina, insieme a un’analisi puntualmente aderente alle oscillazioni del consumatore sono solo alcuni aspetti che portano questa realtà a ricevere il premio Ristoratori dell’Anno nella Guida Ristoranti d’Italia 2025”: queste le motivazioni addotte dai gamberisti. “I tre ribelli di Lucca che hanno rinunciato alla stella Michelin sono i ristoratori dell’anno del Gambero Rosso”: il titolo del pezzo firmato da Lorenzo Sandano, che torna a scrivere sulla testata dopo qualche anno, induce a pensare che ci sia una sorta di consequenzialità tra le due cose. Ovvero, che la decisione piuttosto controcorrente di non volere più la stella Michelin faccia parte delle ragioni dietro il conferimento del premio. Tuttavia, i premi una guida non li decide all’ultimissimo momento, proprio a ridosso dell’uscita in libreria. Certo, il riferimento gamberistico a “un’analisi puntualmente aderente alle oscillazioni del consumatore” fa pensare che qualche correttivo dell’ultimo momento ci sia stato.

 

Sapete tutti com’è andata. Qualche settimana fa, da Lucca, ecco il grido di battaglia: “Vogliamo che Il Giglio ci somigli, ci rispecchi e ci racconti. Vogliamo poter fare il lavoro che amiamo senza doverci preoccupare degli standard altrui. Vogliamo concentrarci sui nostri clienti e fargli vivere un’esperienza culinaria informale, accessibile, ma sempre di altissimo livello”. Conclusione, quantomai illuminante: “È per questo che lo scorso maggio abbiamo comunicato alla guida Michelin di voler rinunciare alla stella. Torneremo a fare quello che ci piace, come piace a noi. Da oggi, e sempre, l’importante è stare bene”. Quel che penso io? Una decisione che denota personalità. Naturalmente si tratta di un parere non condiviso da tutti. I più fervidi a far piovere anatemi sono stati taluni colleghi, talvolta adusi a parlare giornalisticamente di ristoranti curando nel frattempo le pubbliche relazioni (sic) di altri ristoranti, magari trincerandosi dietro patetiche foglie di fico come “Quando scrivo non parlo dei miei clienti” (ma davvero?). Eppure 15 anni prima un vate come Gualtiero Marchesi aveva fatto la stessa cosa, e aveva raggranellato elogi un po’ da tutti, dopo la sua augusta rinuncia a guide e voti. Due pesi e due misure? A Marchesi le lodi e ai tre del Giglio le speculazioni su presunti desideri di farsi notare urbi et orbi? Ma via.

 

Neanche a dirlo, quello dei ‘gigliati senza stella’ è episodio che capita in un momento in cui ci si interroga costantemente sul futuro, ma anche sul presente, del mitico fine dining. Lo scorso 9 ottobre, uscì la notizia che l’Anthony’s Kitchen, il ristorante in cui lo chef-patron germano-ghanese Anthony Sarpong aveva conseguito la stella Michelin normale e la stella verde a Meerbusch, vicino Düsseldorf, stava dichiarando bancarotta. “Mi sono lasciato prendere dall’ampliamento delle attività e ho perso di vista il mio ristorante”, si è schermito il cuoco. Così, si è ritrovato i curatori fallimentari in casa, per aver fatto il passo più lungo della gamba. Ora il ristoratore sta provando a restare a galla.

 

Il punto è evidente. Certi traguardi, ad alcuni, fanno fare viaggi mentali che, se poi messi in pratica senza il giusto discernimento, possono portare alla débacle. Quelli del Giglio devono aver fatto lo stesso ragionamento: preferiamo una clientela fidelizzata a quella degli episodici ‘cacciatori di stelle’. Pare una barzelletta ma è così: ci sono i feticisti michelinari che compulsano l’adorata guida cercando ogni singolo stellato e visitandolo per aggiungere una tacca sulla giacca. Gente che, quando va bene, rivisiterà lo stesso locale cinque anni dopo. Ecco: con tutto il dovuto rispetto, mi piace che i Ristoratori dell’Anno del Gambero Rosso siano persone che concepiscono la ristorazione come servizio, anziché come tappa di narcisistiche cacce al tesoro.

 

 

Rimani aggiornato su tutte le novità del settore della ristorazione, dell’hospitality e del turismo!

Torna in cima