Espositori selezionati. Visitatori dal settore della distribuzione e dalla ristorazione. Una piattaforma digitale che ha già riscosso un enorme successo. Le anticipazioni sulla 15esima edizione dell’evento fiorentino. Dalla voce di Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine.

 

di Elisa Tonussi

 

Saranno 450 le aziende espositrici, di cui 120 new entry. L’80% di queste è già presente online sulla piattaforma digitale di Pitti Connect. E sono almeno 10mila i visitatori attesi, per la maggior parte buyer della distribuzione e operatori della ristorazione. Sono i numeri di Taste, il salone di Pitti Immagine dedicato alle produzioni gastronomiche di qualità e alla food culture contemporanea. La 15esima edizione della manifestazione si svolgerà, dopo tre anni di stop a causa della pandemia, dal 26 al 28 marzo, a Firenze, con ingresso dedicato esclusivamente agli operatori professionali dalle 9.30 alle 14.30 nelle giornate di sabato 26 e domenica 27. Sarà nuova, però, la location: non più la Leopolda, bensì la Fortezza da Basso per garantire spazi più ampi e dunque migliori misure di sicurezza sanitaria. “Si tratta di un passaggio evolutivo e di crescita per Taste”, sottolinea Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine. Focus dell’edizione 2022 di Taste saranno la sostenibilità e lo spreco alimentare, temi che verranno affrontati durante una serie di eventi e approfondimenti. Sono previsti, inoltre, progetti ed eventi dedicati agli operatori non professionali. Approfondiamo le tematiche della manifestazione con Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine.

 

Al via, finalmente, la 15esima edizione di Taste, la prima dallo scoppio della pandemia. Quali sono le vostre aspettative?

Questa è una bella domanda. Non so se sia possibile un paragone con le manifestazioni che abbiamo appena concluso (Testo, evento dedicato al mondo dell’editoria contemporanea, svoltosi dal 25 al 27 febbraio), ma, visto il successo che abbiamo riscontrato, ci auguriamo di superare i 10mila visitatori. Nel 2019 erano stati 15mila. Intendo essere cauto e realista, vista l’attualità. Sappiamo però che c’è una gran voglia di ricominciare. E il nostro approccio rivolto alla qualità del prodotto esposto è apprezzato sia dai consumatori sia dagli operatori professionali. Ricordo che le domande per esporre a Taste sono di gran lunga superiori a quelle che accettiamo.

 

A tal proposito, come avviene la selezione degli espositori?

Un criterio chiave è sicuramente la storia e la tradizione delle aziende. Cerchiamo di evitare i ‘replicanti’ il più possibile. Applichiamo a tutti i settori, anche a quello gastronomico, quanto abbiamo appreso organizzando le manifestazioni di moda: scegliere aziende che lavorano in un certo modo, che seguono adeguati standard di sostenibilità, che hanno una parte creativa e un certo tipo di distribuzione. La collaborazione di Davide Paolini, poi, è essenziale nella selezione.

 

Storia, tradizione e qualità sono dunque le parole chiave.

Sì. Ma quel che conta per noi è dare visibilità ai progetti che hanno una consistenza: ci interessano il contenuto e l’idea dell’impresa, più che il fatturato. E in questo aiutiamo molto anche giovani imprenditori.

 

Come hanno accolto gli espositori la piattaforma digitale di Pitti Connect?

Ha partecipato l’80% delle aziende. Avevamo fatto un progetto considerando il 50% e il riscontro è stato evidentemente oltre le aspettative. Abbiamo avuto 45mila visitatori online in tre settimane: un numero enorme.

 

Eppure c’è ancora scetticismo da parte degli operatori dell’agroalimentare per questo genere di iniziativa…

Si, questo settore in particolare non è stato così sviluppato, ma in qualche modo bisogna creare aspettativa nel pubblico, proprio come nella moda. Avevamo creato, per i buyer del settore, una piattaforma attraverso cui potevano rivedere, in seguito alla manifestazione, i capi delle aziende presenti a Pitti. Con la pandemia, però, ci siamo resi conto che ai buyer interessava vedere i prodotti in anteprima. Bisogna creare aspettativa, appunto.

 

Tornando ai visitatori, quanti saranno gli operatori professionali attesi quest’anno?

Siamo arrivati a quasi 6mila con l’edizione 2019. Per quest’anno ci auguriamo di avvicinarci a cifre simili. Abbiamo organizzato attività di incoming dedicate ai buyer della distribuzione e agli operatori della ristorazione. In queste ore, comunque, ci sono una serie di incertezze pesantissime che mi spingono alla cautela in termini di numeri.

 

In quale direzione si sta muovendo la gastronomia nazionale?

Sta tornando la cucina tradizionale italiana. A mio avviso il consumatore non cerca più piatti sofisticati: vuole un bel piatto di tagliatelle fatte in casa con un ottimo ragù! Noto questa stessa tendenza anche fra i ragazzi. C’è grande attenzione e apertura alle contaminazioni da altre tradizioni, però con una cucina vera. Si stanno riscoprendo le nostre radici e la nostra identità.

 

È forse questo un retaggio della pandemia?

Non credo, è piuttosto una questione di gusti. La cucina molto elaborata, la molecolare, che andavano di moda soprattutto all’inizio del millennio, sono stati fenomeni interessanti. Alla fine, però, il consumatore torna sempre alle radici. La storia di Ferran Adrià è esemplare, secondo me: ha chiuso elBulli, all’apice del suo successo, quando ha capito che il suo percorso non avrebbe potuto proseguire ulteriormente.

 

Un’ultima domanda: a che punto è il progetto Flavor?

Abbiamo lavorato, insieme a Fiere di Parma, sul progetto Flavor con entusiasmo. Ma la pandemia ci ha fermati. L’idea di una manifestazione dedicata all’Horeca d’alta gamma esiste ancora. Tanto che all’ultima edizione di Cibus era presente una piccola sezione Flavor, dedicata proprio all’Horeca, concordata con noi. Purtroppo è passato il momento magico di due anni fa: Pitti Immagine fattura 40 milioni di euro mediamente, ma, non potendo fare fiere per 12 mesi, ha perso 39 milioni, fatturando solo un milione grazie a Pitti Connect. Per il momento, dunque, Flavor rimane ‘congelata’.