Il grande ristorante milanese festeggia i sessant’anni di attività. Una storia che parte da Pescia, in Toscana per approdare nella capitale lombarda con due stelle Michelin. E una generazione di giovani che non rinnega le origini.

 

di Tommaso Farina

 

Dai treni di terza classe alle stelle del firmamento Michelin. Quella di Aimo Moroni è una storia delle più gaudiose, e merita di essere ricordata e raccontata. E a maggior ragione oggi, che il suo ristorante festeggia i sessant’anni di attività. È così: Il Luogo di Aimo e Nadia aprì a Milano nel 1962, in una zona che è tuttora periferica, ma all’epoca lo era senz’altro molto di più. Stelle luminose, dunque, in un quartiere non esattamente monumentale.

Ma del resto, Aimo Moroni non è mai stato un tipo da velluti e damaschi. Anzi. Respirò l’odore della povertà. Aimo nacque nel 1934, e nel 1946, dopo la guerra, prese il treno per tentare fortuna a Milano. Abitava a Pescia, la cittadina toscana nella cui frazione, Collodi, nacque il Lorenzini che scrisse Pinocchio. Il piatto più famoso di Pescia, la cosiddetta cioncia alla pesciatina, è poverissimo: un umido di coda, guance e musetto di vitello. Roba da diseredati, eppure di valore gustativo altissimo. All’epoca, da quelle terre cominciavano ad arrivare a Milano gli uomini che avrebbero dato inizio alla grande tradizione della ristorazione toscana in terra milanese: locali come Marino Conte Ugolino, Rigolo, Bice, Pace (i cui proprietari erano anch’essi arrivati da Pescia), Torre di Pisa, Torre del Mangia, Pietre Cavate, Collina Pistoiese e svariati altri. Molti sono purtroppo scomparsi.

Aimo che faceva? A nemmeno 13 anni, iniziò a fare il caldarrostaro: le castagne sono sempre state un prodotto distintivo della montagna pistoiese. Nel frattempo, arrivò anche Nadia, la ragazza che anni dopo sarebbe diventata sua moglie. La passione della cucina, per Aimo, continuò fino all’apertura di un ristorante vicino alla stazione, in via Copernico. Nel 1962, a 28 anni, il grande salto: un locale tutto nuovo, in una zona promettente e dalla scarsa concorrenza. Trattoria Toscana Da Aimo, via Montecuccoli. Poteva sembrare un azzardo. Vinse lui.

Nel 1965, più o meno, la folgorazione. Aimo, maniaco della pasta aglio olio e peperoncino, se ne uscì con una variante: gli spaghetti al cipollotto e peperoncino. Una cosa da niente, vero? Eppure, questi spaghetti col tempo, sono diventati iconici, come dicono i millennial. Nel frattempo, il successo proseguiva a passo di carica. Nei primi anni Ottanta, Aimo e Nadia era già annoverato tra i massimi ristoranti di Milano e d’Italia. E intanto, Stefania Moroni, la figlia, cresceva e si preparava a entrare nella gestione, negli anni Novanta, col suo piglio amabile e decisionista. Poi arrivarono i quadri dell’amico artista Paolo Ferrari a decorare le sale: quadri che non piacquero a molti critici gastronomici, mentre a me, modestamente, sembravano notevoli nei loro colori a macchia, vagamente fauve. Del resto, il ristorante è legato anche a parecchi ricordi della mia ventennale vita professionale.

Quando Aimo, vista l’età che avanzava, decise di restare semplicemente come padre nobile, diede le chiavi della cucina a due ragazzi d’oro: Alessandro Negrini e Fabio Pisani. E il bello è che il passaggio generazionale riuscì trionfalmente. Nel 2019 l’ambiente venne reso più chiaro e arioso. La cucina restò fedele alle origini, risultando quindi non cosa di ieri, ma di oggi e anche di domani. Oggi, al Luogo di Aimo e Nadia (si chiama così adesso), si gustano l’animella di vitello allo spiedo al profumo di rosmarino, il peperone crusco di Senise ripieno di risotto alla pescatora e un singolare omaggio alla città di Milano: i tortelli farciti di ossobuco di e midollo nel suo ristretto allo zafferano sardo e Parmigiano. Caro Aimo, cento di questi anni.