Non si può stabilire a priori se un locale avrà successo. Anzi. Meglio evitare, dunque, di dare per morta la ristorazione. Perché, malgrado tutto, la gente vuole ancora cenare fuori. 

 

di Tommaso Farina

 

“Questo ristorante ha scelto questa località e questa cucina: sicuramente sarà sempre pieno”: e invece no, il ristorante avrà problemi e in meno di un anno chiuderà. “Questa trattoria è in posizione infelice, vedrete che avrà difficoltà”: e la trattoria sarà piena di clienti ogni giorno. Se c’è un campo imprenditoriale sul quale è impossibile generalizzare e fare previsioni sicure, è quello della ristorazione. Non si può stabilire a priori, si può dire con un algoritmo, se un locale avrà successo: spesso, posti nati sotto le migliori stelle fanno una brutta fine, e ristoranti a cui non daresti una lira sbancano la concorrenza. Ogni locale fa storia a sé. Ci sono posti il cui successo è prevedibile, altri in cui invece è inspiegabile. Per cui, conviene evitare di lanciare i de profundis sulla ristorazione a causa del Covid.

 

Una sera, a gennaio, mi recavo in un ristorante, in compagnia: un locale dell’hinterland milanese, non stellato ma segnalato da decenni sulle guide maggiori, di reputazione consolidata, forte di una cucina collaudatissima e di una cantina seducente per qualità e varietà. Era un mercoledì sera. Ho prenotato il pomeriggio stesso, trovando posto, e pensando: “Col Covid, sicuramente sarò tra i pochi clienti”. All’arrivo, un primo sbigottimento: parcheggio pieno, anzi stracolmo. Tocca giocoforza lasciar l’auto a qualche centinaio di metri, facendo una breve passeggiata in una sera nebbiosa che avrebbe fatto la felicità di Giovannino Guareschi. All’ingresso, il calore del ristorante. E il vociare allegro ma giudizioso di una sala piena, alle otto e mezza. Il ristorante è colmo, anzi gremito. Il mercoledì sera, non il sabato. E poi, quando qualche tavolo si libera, viene subito occupato da altri clienti. Tutti contenti. Il padrone è il più felice di tutti. Tra l’altro, da sempre attua due giorni di chiusura (il lunedì e il martedì) e non si è sognato di aprire un giorno in più per attirare qualche altro avventore: lui i clienti ce li ha, e non sono pochi.
 

Altro scenario, altro hinterland milanese, anche se in zona diversa. Altro mercoledì, e per puro caso. Anche qui, prescelto è un ristorante storico, seppur meno rinomato. Prenotazione facilissima. All’arrivo, molto presto, non c’è molta gente. Ma la gente arriverà, e nemmeno poca. Ci sono anche un paio di grandi tavole da otto persone ciascuna: ed è bello vedere le persone uscire a cena, gli amici e le famiglie tutte insieme, in un giorno infrasettimanale. Ci sono persone che rifiutano di andare al ristorante in compagnia per paura del virus? Sicuro. Io però in queste due occasioni non ne ho viste. Erano pieni questi ristoranti nel bel mezzo della pandemia? Sì. Si può prendere questi ristoranti come esempio per generalizzare su tutto il mondo della ristorazione? No. Non si può generalizzare. Ma nemmeno si può dire che al ristorante non va nessuno. La gente al ristorante, malgrado tutto, chi più chi meno, sembra proprio volerci andare. Sono esempi, ma se va bene a questi ristoratori, è lecito sperare che potrà andare meglio a tutti. Nonostante le bollette raddoppiate, i veri taglieggiamenti in materia di elettricità e gas. Gente che vuole uscire a cena c’è: estote parati. Siate pronti, come gli scout.