Con la morte di Franco Ziliani, se ne va la mente che creò dal nulla il comprensorio spumantistico. E la storia stessa del Franciacorta. Qualche ricordo di una persona che mai perse di vista le sue origini.

 

di Tommaso Farina

 

Visionario. Oggi, chi ha avuto una grande intuizione diventa fatalmente un visionario. Ma che gusto c’è a usare un simile termine? Visionario è uno che ha le visioni, uno che sente le voci. Cosa ben diversa da chi ha avuto la vista lunga. Franco Ziliani non è stato un veggente a cui è apparso qualche santo: è stato uno che ci ha visto lungo, lunghissimo. Uno che ha condizionato la storia e il paesaggio di un intero territorio. Quando uscite dall’A4 allo svincolo di Rovato (Brescia), percorrete qualche chilometro: arriverete tra le vigne. Ecco: quelle vigne sono lì perché Franco Ziliani ebbe una pazza idea. Nel 1961, un’eternità fa, quest’uomo nato a pochi chilometri da quelle colline, a Travagliato (Bs), semplicemente inventò la Franciacorta del vino.

 

Io Franco Ziliani l’ho conosciuto, ormai vent’anni fa, anzi 21. Cominciavo a muovermi, a 19 anni, nel mondo del vino e delle storie che lo riguardano. Finii per aggregarmi ai tanti “educational tour” organizzati dai più lungimiranti uffici stampa a vantaggio dei giornalisti, o aspiranti tali nel mio caso. E così, conobbi Cristina Ziliani, che era (ed è) il volto della Guido Berlucchi. Era il mio primo Vinitaly, aprile 2000. Un’era geologica fa, in cui il vino è stato oggetto di una vera rivoluzione copernicana. Franco Ziliani l’ho incontrato poi in azienda, più volte. Aveva un’aria austera ma verace, da uomo di popolo. Era l’antitesi del vignaiolo hipster di oggi: completi grigi, giacche di tweed che erano quasi uno sposalizio tra lo stile inglese e il gusto italiano. Ma lui era uno che in campagna ci andava.

 

Tutto nacque da lui sessant’anni fa. Nel 1961, fece quattro chiacchiere con un notabile per cui lavorava, il conte Guido Berlucchi, e gli espose la sua folle teoria: lo Champagne è il risultato più alto che un enologo possa proporre alla propria ambizione. Perché non farlo anche da queste parti? Il conte già si serviva della consulenza del quasi trentenne enologo diplomato per attutire le asperità dei vini fermi che produceva. Di Franco Ziliani si fidava. Così, quando Franco gli propose la sua pazza idea, il conte disse di sì. Provaci, Franco. Nel ’61, il primo risultato: circa 3000 bottiglie di questo Champagne casalingo. Pinot di Franciacorta, l’aveva battezzato. Andò così bene che lo Stato, nel 1967, riconobbe una Denominazione di Origine Controllata. La storia poi è nota: altri produttori, visto il successo targato Ziliani-Guido Berlucchi, ne seguirono l’esempio. E lentamente, con pazienza, la Franciacorta è diventata quella di oggi, coi Maurizio Zanella, i Moretti, i Rabotti, i Vezzoli e tutti gli altri, a dire la loro sui mercati italiani e mondiali.

 

Paradosso: quando io conobbi Ziliani, la Guido Berlucchi col suo marchio non produceva Franciacorta Docg (la vecchia Doc, nel 1995 era stata “promossa”). La Cuvée Imperiale, oggi Franciacorta Docg, all’epoca era ottenuta dalla spumantizzazione di uve franciacortine, trentine e oltrepadane, sempre con la firma enologica di Franco. I Franciacorta “di casa” erano appannaggio dell’Antica Cantina Fratta, una piccola realtà acquisita da Ziliani nel 1979. Le cose cambiarono anni dopo. Oggi, Guido Berlucchi è tornata a essere sinonimo di Franciacorta. Particolare istruttivo: Ziliani, qualche anno fa, decise di cedere l’azienda (che aveva rilevato anni dopo la morte del conte Berlucchi) ai figli. Non gliela regalò: gliela vendette. Cristina (oggi sempre pronta sul pezzo), Paolo e Arturo si indebitarono, ma la cosa servì ancora di più a fortificare la loro abilità. E oggi, il Franciacorta Berlucchi 61 celebra anche con l’etichetta l’idea di un uomo che inventò un territorio.