Due ristoranti, due diversi approcci alle tante difficoltà che sta attraversando il settore della ristorazione. Un menù più caro, un compromesso in cucina. Non esiste la ricetta perfetta per affrontare la crisi. Ma quanto può durare una simile situazione?

 

di Elisa Tonussi

 

Nel mese di dicembre, io e mio marito ci siamo concessi due uscite al ristorante. Due locali differenti, con proposte culinarie diverse: il primo non lo avevamo mai provato prima, il secondo era una piccola garanzia per i giorni di festa, a cui però non facevamo visita da qualche tempo. Del primo locale, una vineria con cucina a Seregno (Mb), il Padosé, siamo rimasti estremamente soddisfatti. Proponeva un menù ricercato, con materie prime semplici e lavorazioni interessanti, oltre che un’ottima selezione di vini. I prezzi sulla carta nel locale erano più alti rispetto a quelli indicati online – uno o due euro di differenza – ma abbiamo soprasseduto: il rapporto qualità-prezzo era buono. Il pranzo di Natale al secondo locale, invece, ci ha delusi. Era al Marion, un ristorante a gestione familiare, una piccola istituzione a Costa Masnaga, in provincia di Lecco, che da decenni propone la cucina del territorio e qualche proposta più contemporanea. E se i ravioli al cappone con ragù di funghi erano eccezionali, come sempre, così come il vitello con gremolada, i piatti di ispirazione ‘moderna’ non ci hanno convinti. Erano sciatti, tecnicamente imperfetti, e mancavano dei profumi e dei sapori che, dal mio punto di vista, fanno la differenza tra un piatto casalingo e quello da ristorante. Rispetto al passato, inoltre, non ci avevano servito il calice di spumante con cui erano soliti omaggiarci dopo il panettone. Insomma, sono mancati quegli elementi che facevano del pranzo al ristorante non un semplice pasto, ma una vera e propria esperienza di gusto, e non solo. Lo scontrino, però, è stato lo stesso di sempre.

 

Le due cene rispecchiano, per me, due diversi modo di reagire alla crisi che il settore della ristorazione sta attraversando da ormai due anni. L’arrivo del Covid, il lockdown, la riapertura. Poi le zone gialle, arancioni e rosse. Le gimcane tra tavoli distanziati e controlli del Green Pass. I contagi tra il personale e le prenotazioni cancellate all’ultimo minuto. E ora l’aumento dei costi delle materie prime e dei servizi. Di fronte a tante difficoltà, c’è chi ha scelto di ritoccare i prezzi sui menù, chi ha preferito non intervenire. Qualcuno, invece, ha modificato la propria offerta, puntando su prodotti e materie prime diverse.

 

Ebbene, perché le mie cene rispecchiano due modi di affrontare la crisi? Uno dei due locali ha forse preferito rinunciare a qualche elemento della propria proposta, che, però, ha fatto la differenza. L’altro ha probabilmente optato per un menù leggermente più costoso, proponendo i suoi piatti in maniera efficace. Per noi non è stato un problema pagare qualcosa in più, in fin dei conti la serata era valsa il ‘rincaro’. Ma non per tutti è così. E quei pochi euro possono fare la differenza per numerosi clienti, e di conseguenza per i ristoratori.

 

Sia chiaro, non esiste la ricetta perfetta per affrontare le difficoltà. Ogni imprenditore trova la propria. A Natale ho gustato il panettone di un ristorante di Albiate (Mb), si chiama Grow, avventura imprenditoriale di due fratelli iniziata nello sfortunato 2020. Mancavano le uvette: costavano troppo, la qualità non era adeguata e i ragazzi, per non alzare il prezzo del prodotto, hanno preferito non mettercele. Il risultato: un panettone strepitoso, che, con qualche candito in più, si è fatto perdonare l’assenza dell’uvetta. Ancora una volta, la differenza stava nel prodotto. Mi domando, però, per quanto ancora i ristoratori saranno in grado di accettare simili compromessi?