Secondo l’Osservatorio di TheFork, tra il 2022 e il 2023 hanno aperto più nuovi ristoranti orientali che pizzerie. E non sono solo all you can eat: nelle grandi città, arrivano anche locali che battono le strade della cucina di qualità.

 

di Tommaso Farina

 

La Cina è vicina. Il 17% dei nuovi ristoranti aperti è dedito alla cucina asiatica. E le italianissime pizzerie? Sono solo il 15% delle nuove insegne. È l’ora del sorpasso per sushi e involtini primavera? Il dato viene da una ricerca fresca fresca dell’Osservatorio TheFork. Il popolare portale di prenotazione ristoranti, negli ultimi anni, ha spesso investito risorse nell’analisi del settore, e questo è il suo ultimo rilevamento: tra settembre 2022 e settembre 2023, la cucina asiatica ha avuto un altro piccolo boom, ed è seconda solo a quella nostrana (55% del totale, un dato che riguarda ristoranti che non si dedicano alla pizza) nel computo delle inaugurazioni.

 

È chiaro: molti di questi sono all you can eat. Ossia, quei gironi danteschi superaffollati che sembrano promettere il miracolo del sushi a basso prezzo. E non solo quello. In effetti, gran parte dei locali di poche pretese (ed economici nel menù) praticano questa sorta di spersonalizzazione culinaria. Alcuni, più furbi, escogitano la pomposa etichetta di ‘ristorante fusion’, restando comunque mille miglia lontani dalla contaminazione intelligente tra culture culinarie diverse. In questi casi, lo sbandierato ‘fusion’ consiste semplicemente nell’affastellare piatti giapponesi e cinesi nella stessa carta. Nei casi più perversi, a sushi cinesizzato e pollo alle mandorle si accostano pietanze italiane e perfino carni brasiliane. Naturalmente, simile sushi ha poco a che vedere con l’originale: per esempio, quasi mai il riso è condito, cosa che in Giappone è impensabile. Simile andazzo ha provocato un vero tracollo d’immagine per quello che in origine era (ed è ancora, nei posti giusti) un cibo raffinatissimo, mentre oggi si identifica con queste tavole un tanto al chilo, in cui spesso i gestori impongono una penale pecuniaria per il cibo non consumato dai divoratori che, ingolositi dalla formula a prezzo fisso, a volte ordinano più piatti di quelli che poi riescano effettivamente a ingurgitare.

 

Ma questo modello di ristorazione, sempre più diffuso a causa della crisi economica, non sembra essere il solo ad andare di moda tra gli asiatici. Anzi: secondo lo studio firmato TheFork, gli all you can eat starebbero addirittura passando di moda. Le loro roccaforti sono le località di provincia, dove ‘andare al giapponese’ è visto ancora, almeno un po’, come esperienza esotica e meno consueta. In posti come Milano, l’occhio lungo dei ristoratori orientali continua a suggerire sempre maggiori sperimentazioni, per rincorrere non il consumatore mangione e disattento, ma quello curioso, e magari disposto a spendere. L’esempio fatto da TheFork è quello degli Izakaya: sarebbero i classici bar giapponesi dove si gustano le vere specialità popolari del Giappone, ossia non necessariamente sushi, magari abbinate a un sakè di selezione particolare, o a un drink shakerato dagli onnipresenti barman. In campo cinese, i locali che sviscerano la specificità delle cucine locali di un Paese grande come quasi tutta l’Europa non si contano: si va dai classici cantonesi agli specialisti del piccantissimo hot-pot e degli altri piatti incendiari del Sichuan, dai manciuriani ai devoti della cucina dello Hunan (la preferita da Mao).

 

Resta da vedere la speranza di vita nel lungo periodo. Per Ascom e Fipe, pochi sono i nuovi ristoranti che superano i cinque anni di vita. Gli orientali che ce la fanno diventano dei classici. Esempio tipico: Lon Fon a Milano, sulla breccia dal 1980 grazie a Rita Kam Kwan Fong. Ma Rita i ravioli al vapore li fa a mano, e i prezzi non sono quelli di un all you can eat.