Imperfetta e appassionata, ha ottenuto il Premio Michelin dedicato alle professioniste in cucina. Un riconoscimento alla tradizione italiana e al mondo femminile. A tu per tu con “la Isa de La Palta di Bilegno”.

 

di Elisa Tonussi

 

Isa Mazzocchi è una persona genuina. E “imperfetta”, come lei stessa si definisce. Parlarci è un vero piacere. Nelle sue parole, pacate, pesate, scelte accuratamente, risiede tutto il suo amore. Per Piacenza, “una signora un po’ timida”, che racconta con i suoi menù. Per il ristorante La Palta, che è la sua famiglia. E per la cucina. Isa Mazzocchi ha recentemente ottenuto il Premio Michelin Chef Donna by Veuve Clicquot, che viene assegnato a una chef simbolo delle qualità di madame Clicquot – determinata, creativa, innovatrice, intraprendente – e dei valori della maison del noto Champagne. Per questo motivo abbiamo parlato di cucina e di territorio. Nonché della presenza femminile, sempre più vivace, ma ancora troppo poco chiacchierata, nell’alta ristorazione.

 

Tre aggettivi per descrivere se stessa.

Imperfetta, determinata, appassionata.

 

Chi è dunque Isa Mazzocchi?

Io sono la Isa de La Palta di Bilegno, in provincia di Piacenza. E sono l’allieva di Georges Cogny. Sono nata in un’osteria e porto avanti la tradizione di ristorazione della mia famiglia, che in questi ultimi anni è cambiata moltissimo: abbiamo cercato di ammodernare la nostra cucina, solo ed esclusivamente tradizionale, avvicinandola ai canoni di oggi. Ma la Isa Mazzocchi in realtà è “noi”. Io ci metto la faccia, ma dietro La Palta c’è una squadra che è fatta dalla mia famiglia e dai miei collaboratori. Di quei sei petali del logo Michelin, uno è mio, gli altri cinque sono delle persone che mi circondano.

 

Qual è la sua storia?

Sono nata in mezzo alle pentole. In un’osteria molte semplice e umile di campagna con annessi la tabaccheria e il negozio di alimentari. Mia mamma cucinava, papà la aiutava e serviva ai tavoli. Io e mia sorella, fin da bambine, abbiamo sempre cercato di aiutare. All’inizio, quella per la cucina non era una vera e propria passione. Semplicemente preferivo i fornelli alla sala. Mi sono quindi diplomata alla scuola alberghiera di Salsomaggiore (Pr), che mi ha aperto gli occhi sulla cucina internazionale.

 

È in quegli anni che diventa allieva di Georges Cogny.

Sì, Georges Cogny, che è stato tra i fondatori dell’Antica Osteria del Teatro, aveva deciso di aprire a Piacenza una scuola sperimentale di cucina con una quindicina di allievi. Io sono stata selezionata. Nel mio percorso di formazione, che è durato due anni, ho conosciuto un mondo a me del tutto nuovo: l’alta gastronomia, la nouvelle cuisine, la cucina gourmet. Insomma, Georges mi ha dato la chiave per aprire il mio talento. E, se anche non fosse il mio talento, la cucina è sicuramente la cosa che amo di più.

 

Poi, nel 1989, il ritorno a casa…

Proprio così. Ho fatto esperienza in altri ristoranti. Poi, dopo essermi classificata terza come jeune commis al concorso Chaine de Rôtisseurs a Nizza, ho aperto l’attuale ristorante La Palta. Avevo vent’anni e ho iniziato a interpretare la cucina tradizionale inserendo piatti nuovi. Così fino al giorno d’oggi, grazie anche al lavoro di mia sorella e di mia mamma e, dal 2000, di mio marito Roberto, che cura la cantina.

 

Cosa rappresenta per lei il Premio Michelin Chef Donna recentemente ottenuto?

Sono veramente lusingata per questo premio, che mai mi sarei aspettata di ricevere. Sono molto grata a Michelin e Veuve Clicquot, che hanno dato voce al mondo femminile, che c’è, è forte e sta facendo molto bene in Italia. Credo che con questo riconoscimento sia stata premiata la cucina italiana.

 

Perché?

Perché la mia cucina è semplice. E la cucina italiana questo è: semplicità e freschezza. Anche se nella mia c’è sempre qualche sfumatura d’Oltralpe. È la mia formazione. Nel mio menù ad esempio propongo una terrina di fegato grasso d’oca realizzato con prodotti italiani: è il mio omaggio a Georges. La mia cucina inoltre è imperfetta. Come lo sono gli italiani, appunto. È un fatto culturale: noi italiani siamo talmente circondati da bellezza – quella dei nostri monumenti, opere e paesaggi – che non ci soffermiamo sulla ricerca della perfezione. Ciò non significa che in Italia non ci siano professionisti perfetti.

 

Chi considera perfetto tra i suoi colleghi?

Gualtiero Marchesi era perfetto. Per la sua cura maniacale dei particolari. Lui era così appassionato di bellezza, arte e musica, che è stato in grado di tradurla nelle sue creazioni.

 

Spiegando la motivazione del premio, gli ispettori hanno sottolineato il fortissimo legame con il territorio. Quali aspetti del territorio piacentino ama maggiormente?

Al di là delle bellezze artistiche e architettoniche, la provincia di Piacenza è ricca di piccole produzioni di bontà: l’asparago piacentino, il Grana Padano, le tre Dop – Coppa, Salame e Pancetta – che produttori appassionati stanno cercando di migliorare sempre più. Abbiamo una gamma di vini straordinari, prodotti da aziende vinicole che tramandano l’esperienza di generazioni. Abbiamo un Vin Santo di Vigoleno, prodotto da un giovane viticoltore, che all’assaggio è come una crema: profumato e vellutato. Insomma Piacenza ha tanti segreti, tutti da scoprire. Perché Piacenza è una signora un po’ timida, per nulla sfacciata.

 

E come ha voluto raccontare la timidezza di Piacenza nella sua cucina?

Quando scoviamo nuovi prodotti o produttori appassionati il dovere di noi ristoratori è di farli conoscere ai nostri ospiti. È una bella sfida. Quando propongo l’agnello della Val Tidone, ad esempio, offro un prodotto del mio territorio, che non è paragonabile a un agnello d’Alpago o un agnello sambucano, che sono comunque straordinari. Il prodotto che servo è unico perché è nato e ha mangiato qui. Questo vale per tutte le produzioni tipiche. Il mio dovere è mettere un prodotto nel piatto trasformandolo, pur senza violentarlo privandolo della sua natura, e farlo conoscere. Sa, ad esempio, che a Piacenza esiste un microclima che consente ai pomodori di diventare buonissimi?

 

Territorio è anche famiglia e La Palta è un ristorante famigliare, qual è la ricetta per convivere e avere successo nell’ambiente di lavoro?

Il nostro segreto è la stima che nutriamo gli uni per gli altri. Credo che la formula migliore sia sottovalutare i difetti e sopravalutare i pregi di chi ci circonda. Non esiste più l’io. Ma il noi.

 

Avete modificato il vostro modo di lavorare per poter cenare in famiglia, è così?

Sì, quando sono nati i nostri figli, Roberto e io abbiamo ritenuto necessario poter consumare con loro almeno un pasto al giorno. Quindi abbiamo cambiato gli orari di lavoro: abbiamo prolungato il turno del pranzo per realizzare anche le preparazioni per la cena, così, anche chi tra i nostri collaboratori abita in zona, riesce a fare un pasto in famiglia. Anche se all’orario delle galline!

 

Il mondo dell’alta ristorazione ancora è molto maschile, perché secondo lei?

Non so quale sia il motivo. In Italia, però, ci sono tantissime professioniste, come me e molto più brave di me, che hanno portato l’alta ristorazione nel mondo. Prima fra tutte Nadia Santini del Ristorante Il Pescatore, che è stata anche premiata come miglior chef al mondo. Ad alcuni riconoscimenti, però, non viene data talvolta adeguata visibilità.

 

Crede che esista una forma di pregiudizio nei confronti della donna nell’alta ristorazione?

È un tema sfaccettato e difficile da capire. Sulle riviste di settore raramente le copertine sono dedicate alle donne. Il fatto che siamo ancora poche non viene mai messo in primo piano. Anzi, è considerato la normalità. Eppure l’Italia detiene un bellissimo primato: delle 197 chef stellate nel mondo, su 30 paesi, 42 sono italiane. E questo numero è destinato a crescere. Tantissime ragazze stanno intraprendendo questa carriera, compiendo anche importanti scelte etiche, abbracciando ad esempio le cucine ecosostenibili e vegetariane. C’è grande fermento.

 

Occorrerebbe forse incentivare la presenza femminile nell’alta ristorazione?

Basterebbe parlarne. Perché viene premiata la donna chef? Perché probabilmente c’è qualcosa che non va. Se viene dato un premio del genere è perché occorre parlarne. Allora parliamone e cerchiamo di cambiare le cose! Raccontiamo la nostra storia, la nostra professione e raccontiamo che non c’è differenza rispetto agli uomini. Svolgiamo lo stesso lavoro. E lo facciamo bene. Ciascuno con le sue peculiarità. Semplicemente perché siamo persone diverse.