Chiudono quasi 18mila ristoranti, ma in Italia si registra la spesa più alta della clientela nel fuoricasa: 88 miliardi. Il Rapporto 2022 dell’Osservatorio Ristorazione restituisce luci e ombre sul settore. Si aspetta una valutazione dei primi sei mesi del 2023.

 

Tommaso Farina

 

Tutto bene o tutto male? Disastro o trionfo? Probabilmente, nessuno dei due. Così sembra emergere dal quadro della ristorazione restituito dall’ormai consueto lavoro dell’Osservatorio Ristorazione, una delle opere più meritorie dell’agenzia di consulenza RistoratoreTop. In sintesi: tanti ristoranti chiudono, ma tante persone escono a mangiare.

 

Da tempo all’inizio dell’anno l’Osservatorio di RistoratoreTop si prende la briga di analizzare lo stato dell’arte del mondo del mangiare fuori casa, almeno per come è andato nell’annata precedente. Il risultato è un bel libro, che aggrega e confronta dati provenienti dalle fonti più disparate, tra le quali i rilevamenti di Istat e Censis, delle associazioni di categoria Fipe e Federalberghi, le banche dati di Infocamere e della web app per la ristorazione Plateform installata su oltre 1300 attività in Italia. Il Rapporto del 2022, fresco di stampa, evidenzia varie cosette molto interessanti.

 

Cominciamo dalle doglianze. Il 2022 potrebbe sembrare una sorta di ennesimo annus horribilis, se si guarda la consistenza numerica delle attività. In alcune provincie si era già subodorato qualcosa, e ne avevamo dato traccia sul nostro giornale da tempo. Tuttavia, oggi ne abbiamo la conferma: mai come nel 2022 abbiamo assistito a tante chiusure di ristoranti. Il Rapporto parla chiaro: s’è dovuto registrare il saldo negativo più alto di sempre tra le attività iscritte alle Camere di Commercio e quelle cessate, -17168, e la storica diminuzione dell’1,40% delle imprese attive, che passano dalle 340610 del 2021 a 335817, oltretutto invertendo un trend di crescita pluridecennale. Un’ecatombe dunque? No, perché occorre guardare un altro fattore: la gente vuole uscire a pranzo e cena. I dati raccolti ci parlano infatti di una spesa alimentare fuori casa attorno agli 88 miliardi di euro, ovvero +3% sul 2019 pre-Covid, anno del precedente record positivo con 86 miliardi di spesa. Che abbia ragione quel disincantato cuoco che tempo fa ebbe l’ardire di sussurrare, a denti stretti, che in Italia di ristoranti ce ne sono fin troppi, e bastano e avanzano quelli già aperti? Una boutade, certo. Che ci spinge a chiederci: meglio convogliare questa voglia di mangiar fuori in quello che già esiste, o tentare la strada delle nuove aperture? La verità è che la ristorazione, oggi come non mai, pare obbedire a regole tutte sue, nel senso che è difficile prevedere a priori il successo o l’insuccesso di un modello di attività: in questo campo come in nessun altro, ogni singola impresa fa storia a sé, ci sono locali che sembrano disgraziati per location e per offerta ma che sono sempre pieni, contrapposti ad altri che sarebbero baciati da Dio e invece chiudono dopo sei mesi.

 

Il Rapporto, in ogni caso, si sofferma anche su altro. Il 71% dei ristoratori, per dire, ha dovuto compiere azioni impreviste per far fronte all’aumento delle spese di energia e materie prime, puntando, nell’82% dei casi, all’aumento dei prezzi finali al cliente. All’inizio non volevano farlo, ma alla fine hanno dovuto. Inoltre, in linea con l’anno precedente, il 76% ha perso figure professionali in cucina o in sala e, a inizio 2023, un ristoratore su due ha ancora problemi di personale: e questo lo sappiamo tutti. Cosa si può fare? Occorre aspettare almeno fino all’estate, per analizzare il primo semestre: poi molte cose saranno più chiare.