Tornano Taste e Vinitaly. Ma lo scoppio della guerra getta un ombra sulla ripresa. Qual è dunque il significato del cibo in questo momento storico?

 

di Elisa Tonussi

 

Questo terzo numero di Luxury Food&Beverage Magazine doveva essere un inno alla ripartenza. E, in qualche misura, lo rimane. Torna in scena Taste, la rassegna fiorentina dedicata alla gastronomia gourmet di Pitti Immagine. Si terrà dal 26 al 28 marzo e saranno presenti ben 450 aziende espositrici da tutta Italia, di cui trovate una gustosa anteprima a partire da pagina 30. La rassegna ospiterà anche alcuni eventi dedicati ai ristoratori. Ad aprile, poi, dal 10 al 13, sarà la volta di Vinitaly, per la prima volta in forma estesa dopo la pandemia. A tal proposito abbiamo pensato a un approfondimento dedicato al mondo vinicolo, che trovate da pagina 20.

 

Sull’atmosfera festosa di ripartenza aleggia, però, il drammatico spettro dell’attualità. Da una parte, le angoscianti immagini che provengono dall’Ucraina, dove bar e ristoranti che, fino a poche settimane fa, accoglievano i propri ospiti in un’atmosfera di sottovalutata normalità, sono oggi rifugi e mense per soldati e civili. Dall’altra, le inevitabili conseguenze che questa guerra sta già procurando nella quotidianità. Non cessano di crescere, infatti, i costi delle materie prime, del gas e dell’elettricità, come già avviene da mesi. Cosa dire poi dell’effetto sul turismo di lusso causato dallo stop ai voli da Mosca? Non poche grane per un settore, quello alberghiero e della ristorazione, che si stava apprestando a uscire dalla crisi innescata dalla pandemia.

 

Mi sono domandata allora che significato abbia il cibo in questo momento storico. Recentemente, infatti, lo chef ucraino Ievgen Klopotenko, che dallo scoppio della guerra si è impegnato in prima persona nel conflitto cucinando per i militari, ha iniziato una campagna sui social network invitando i suoi follower a cucinare il borscht per conoscere la cultura ucraina e per capire perché “combattiamo così tenacemente per il nostro Paese”. Il giovane cuoco, incluso nella lista 50 Next, co-proprietario di un ristorante a Kiev, spiega che questa zuppa di barbabietola e cipolla, fatta con brodo di carne, è “il piatto che unisce gli ucraini”, e ne racconta la storia.

 

L’invito dello chef, che a un primo sguardo ha tanto dell’ennesima operazione social transitoria, credo abbia in realtà una grande portata culturale: svela che la cucina non è fugace come un ricordo personale, è vera come la storia e solida come la tradizione. Ci sono infatti piatti che sopravvivono alle tendenze e alle mode in quanto testimonianza di un momento storico preciso, che, riproposti e reinterpretati nel tempo, ricordano dove affondano le radici di un popolo. Proprio come i tortellini emiliani, che anche Massimo Bottura propone nella propria Osteria Francescana con crema di Parmigiano Reggiano: un vero omaggio alle proprie origini. Ecco perché credo che sia tanto arricchente e utile scoprire la cultura ucraina tramite la sua cucina, quanto insignificante la scelta di rinunciare all’insalata russa, il celeberrimo piatto inventato dallo chef Lucien Olivier a metà ‘800 nel suo ristorante di Mosca, come paventato da alcuni. Non è il caso di dimenticare o ignorare quello che c’è stato. Al limite, questa è una preziosa occasione per conoscere il passato e affrontarlo in modo critico. E, chissà, forse anche per ricordarci chi siamo.