Uno spaccato del mercato della ristorazione e del food & beverage di alta gamma nel Paese del Sol levante. Intervista con Emanuele Bonsignore, esperto di settore e consulente del gruppo Aeon.

 

di Elisa Tonussi

 

Il palato dei giapponesi è sempre più raffinato. E, anche se nel lusso i prodotti francesi vanno ancora per la maggiore, la cucina e i prodotti tradizionali made in Italy sono fortemente apprezzati. Purché abbiano tre caratteristiche: che siano rari, stagionali e che l’aspetto sia perfetto. Il terreno è fertile per portare nel Paese del Sol levante la cucina e i prodotti italiani. Ne parla Emanuele Bonsignore, esperto di settore e consulente del gruppo Aeon.

 

Qual è la percezione del lusso in Giappone?

Nell’ultimo decennio c’è stata grande attenzione verso il mercato del lusso e i consumatori giapponesi hanno iniziato ad apprezzare sempre di più prodotti e brand made in Italy, sia nel mercato del fashion, che è in continua crescita, sia nel settore del food & beverage. Grazie anche all’accordo di libero scambio, che ha eliminato la maggior parte dei dazi e la quasi totalità delle barriere tecnico-normative, il settore ha potuto beneficiare di ottime opportunità. Inoltre il riconoscimento di oltre duecento indicazioni geografiche europee, di cui ben 45 italiane, ha aiutato non poco tutto il comparto. In Giappone, le caratteristiche che fanno di un prodotto alimentare un prodotto di lusso sono la sua rarità, l’aspetto perfetto e la sua stagionalità. Il gusto si posiziona in secondo piano, anche se è comunque un componente da non tralasciare.

 

Come si posiziona il lusso italiano rispetto a quello francese?

Nel food & beverage i cugini d’Oltralpe, malgrado l’Italia abbia tutte le carte in regola per proporre prodotti di estrema eccellenza e innovazione, hanno costruito nel corso di anni una solidissima reputazione, posizionando i propri prodotti in modo decisamente prevalente. Ad esempio, il mercato delle importazioni vinicole dedica all’Italia meno del 15%, mentre la Francia rappresenta oltre il 55%. A lanciare il cibo italiano in Giappone sono state le riviste giovanili e di moda degli anni ’80 e ’90, che lo hanno reso molto popolare per la sua informalità, a discapito della cucina francese.

 

Quali prodotti made in Italy sono maggiormente apprezzati?

Possiamo citare il tartufo e altre eccellenze stagionali: porcini, asparagi e nicchie di prodotti particolari. Anche nel mondo del beverage ci sono prodotti che stanno riscontrando trend di crescita. Bollicine come Franciacorta e Prosecco e i vini rosè, in generale, stanno ottenendo ottimi risultati con una crescita importante che si attesta intorno al 30%.

 

Cosa cerca il consumatore giapponese quando va al ristorante?

In questi ultimi anni, complice anche la pandemia, è diminuita molto l’attitudine dei consumatori ad andare spesso al ristorante. La tendenza è di optare per una qualità più alta a fronte di una frequenza decisamente minore. Questo si è tradotto nella crisi dei ‘family restaurant’ a beneficio della fascia premium che, invece, malgrado la crisi globale, ha mantenuto una sufficiente redditività.  La continua ricerca di prodotti di stagione e di esperienze gustative che possano supplire anche all’impossibilità di viaggiare sono sicuramente delle cause importanti. I consumatori tendono anche a ricercare location tipiche che offrano un servizio di qualità elevata.

 

Come viene declinata la cucina italiana affinché venga compresa e apprezzata anche dai clienti locali?

Partiamo dal presupposto che la cultura gastronomica giapponese e quella italiana hanno diversi aspetti in comune: materie prime di qualità, esaltazione dei sapori, abbinamenti molto simili. La dieta mediterranea, inoltre, ben si coniuga con molti dei loro piatti tipici. La pizza e la pasta stanno crescendo molto e sono sempre più apprezzati, così come locali di ispirazione regionale che propongono pietanze tipiche con un approccio molto classico e tradizionale.

 

Quali permessi e requisiti deve avere un ristoratore che voglia aprire un locale in Giappone?

Non è richiesto nessun requisito particolare per aprire un ristorante in Giappone. La burocrazia è molto più snella rispetto a quella italiana ed è fortissima l’attenzione per l’educazione civica e per il rispetto delle regole. Almeno una volta all’anno sono previsti i controlli della Hokenjo – equivalente all’Asl italiana – che si accerta, ad esempio, che siano presenti i rubinetti o l’acqua calda. I vigili del fuoco, invece, operano controlli volti a verificare la congruità progettuale del locale.

 

Quali invece i permessi per esportare nel Paese prodotti alimentari e vini?

A seguito di alcuni scandali e incidenti, negli ultimi anni la sicurezza alimentare è diventata un tema centrale della politica governativa e delle strategie aziendali. Infatti, sono stati imposti standard più severi che gli alimenti devono soddisfare per entrare nel mercato giapponese. In generale, esistono precise limitazioni relative sia a singoli ingredienti, come il sale iodato, sia a particolari categorie di conservanti o a processi di produzione non consentiti. Le limitazioni maggiori attengono a disposizioni di carattere sanitario. Parallelamente sono state semplificate le procedure che gli esportatori devono osservare. È più semplice la situazione per il mercato del beverage che non subisce limitazioni particolari e beneficia anche dell’eliminazione dei dazi in base al nuovo accordo di libero scambio.

 

L’intervista completa sarà pubblica sul prossimo numero di Luxury Food&Beverage Magazine in uscita il 23 settembre.