Alcuni ristoranti scelgono di accogliere i commensali a orari predefiniti. Altri chiedono perfino di liberare i tavoli entro una cert’ora. Ma c’è chi non ama le imposizioni. Il dibattito è acceso sul web.

 

di Tommaso Farina

 

“I turni si fanno in fabbrica”. Lapidario come il giovinetto della fiaba dei vestiti nuovi dell’imperatore, ci voleva Marco Rizzo, politico tra i fondatori di Rifondazione Comunista, prima, e del partito dei comunisti italiani, poi, a sparigliare le carte nel mondo della comunicazione social della ristorazione. A commento di un articolo della testata Reporter Gourmet sulla reazione costernata di un ristoratore spagnolo, sconvolto da un cliente che non voleva accettare il ‘doppio turno’, il politico piemontese su Facebook è entrato a gamba tesa, evocando il mondo operaista: si timbra il cartellino in fabbrica, al ristorante non è proprio il caso.

 

Tra l’altro, la faccenda è venuta fuori nel podcast degli ispanici Jose Hita e Nacho Martin. Si chiama La Estrella, e in pratica fa quello che facciamo noi col nostro Stupidario dei nuovi mostri: prende le recensioni più stravaganti uscite su Tripadvisor e le commenta. In questo caso, c’erano clienti inviperiti per essere stati costretti ad alzarsi anzitempo, a causa del sopraggiungere della seconda ondata di commensali al loro tavolo. Il ristoratore si schermisce, facendo presente che il limite temporale era stato in qualche modo comunicato. Insomma: il classico caso in cui tutti hanno ragione, a modo proprio. Certo, se il ristorante li aveva davvero avvisati e loro hanno voluto fare orecchie da mercante, le cose si complicano.

 

Personalmente, la turnazione al ristorante è qualcosa che capisco, ma che mi è sempre piaciuta poco. Fin da prima che, vent’anni fa, io stesso facessi parte della Guida dell’Espresso come ispettore, la pratica dei due turni, se attuata, veniva stigmatizzata su quelle pagine. Ma quelle erano ancora pagine dove c’erano altre cosette carine, tipo le recensioni coi voti negativi, oggi pressoché inesistenti.

 

Certi ristoranti, addirittura, mettono la tempistica entro cui si deve liberare il tavolo. Cenare con il cronometro sta diventando, a quanto pare, una nuova specialità olimpica. Noi capiamo tutto. Capiamo che un ristoratore abbia esigenze. Ma allora, perché non dire chiaramente come stanno le cose, ossia che si fa questo per riuscire ad avere più clienti? Non è mica un disonore, anzi è una pratica commerciale onesta. Perché vergognarsene? Io, come cliente, amo i posti vecchia scuola: quelli, peraltro largamente maggioritari, in cui puoi prenotare e al telefono ti chiedono “A che ora?”, e puoi decidere di andarci alle 7.30, alle 8, alle 8.45 a tua discrezione. Se non c’è posto, il ristoratore te lo dice, pace e amen. Se la sala è al completo, magari te lo comunicano prima ancora di chiederti un orario, perché non vogliono costringere i commensali già prenotati a correre i 110 metri ostacoli per fare luogo a chi arriva dopo. Ristoratori che, a quanto pare, antepongono la felicità e la tranquillità di chi mangia alla sicurezza di un incasso in più. Per carità: ambedue le scelte sono ampiamente legittime, lo abbiamo già detto. Ma la faccenda del turno istilla in molti un senso di disagio, se non proprio di autentica ansia. Poi, è chiaro: se si tratta di un posto gastronomicamente trascendentale, in certi casi si può anche soprassedere e stare al gioco, certi che quasi sicuramente si starà bene lo stesso.

 

Marco Rizzo è politico tra i meno conformisti: lui, “comunista così” come Mario Brega nel film di Verdone, una volta venne svillaneggiato con scritte sui muri che dicevano “Rizzo pelato / Servo della Nato”, per la sua non-opposizione all’intervento in Kosovo nel 1999. Oggi, capita persino che il comunista dichiarato Rizzo venga molto apprezzato perfino da gente più o meno di destra. La sua irruzione sul post facebookaro di Reporter Gourmet non ha suscitato moltissimi commenti, ma molte approvazioni sì. E questo alla faccia del commento di un’altra persona, del mestiere: “Se proprio fanno storie… Meglio un cliente meno che casino in sala…”.