Il ristorante di Vissani subisce un abbassamento di voto dalla Guida del Gambero Rosso. Le scelte vengono adeguatamente motivate, ma si apre un discorso: come giudicare l’‘evoluzione’ di una cucina? Sarà vero che si può fare?

 

Tommaso Farina

 

Il Gambero Rosso ha tolto le Tre Forchette a Vissani. Insomma, al ristorante Casa Vissani, a Baschi (Terni), che è un po’ la casa della famiglia Vissani. Ossia, di Luca Vissani ma soprattutto del babbo Gianfranco, cuoco provetto e capace di accendere non solo i fornelli ma anche subitanee polemiche con la sua lingua senza timori reverenziali. Della cosa, qualcuno ha voluto parlare. Ed è interessante: siamo tra quelli che non ritengono la Guida Michelin l’unica bibbia possibile dedicata alla ristorazione, e anzi ci piace sempre sfogliare, compulsare anche le altre guide presenti sul mercato. Tra esse, quella del Gambero Rosso ha senz’altro un posto di rilievo. Parlano per lei la sua lunga storia e il rigore degli ispettori.

 

Le Tre Forchette, scriviamolo maiuscolo, sono un po’ il corrispettivo gamberorossista delle tre stelle Michelin: i locali-Eden, l’empireo della gola, il non plus ultra dei ristoranti. I posti top, in cima alla piramide. Vissani era detentore delle Tre Forchette. Ora, dall’edizione 2024 della Guida, non più.

 

Vissani col Gambero Rosso aveva sempre avuto un rapporto particolare: sul finire degli anni Novanta, quando i più giovani Massimo Bottura, Enrico Bartolini e altre stelle non avevano fatto ancora la loro comparsa, la battaglia per il più grande era una faccenda a due. Da una parte, Vissani. Dall’altra, Fulvio Pierangelini, all’epoca proprietario del glorioso Gambero Rosso di San Vincenzo (Livorno). I gamberisti, pur riconoscendo la grandezza dell’umbro, non facevano mistero di preferire il rivale toscano, e non per simpatia per il nome del suo ristorante. La preferenza andava alla cucina di Pierangelini, più scabra, essenziale, asciutta, più che a quella sensazionalmente barocca, strutturata e ricchissima di ingredienti del vulcanico Vissani. A parte questo, i riconoscimenti per il desco di Baschi non erano mai mancati.

 

Un primo contraccolpo, Vissani lo ebbe quando smise di avere due stelle della Michelin, mantenendone solo una dal 2019. La cosa non gli fece piacere. Ma Vissani si è dispiaciuto anche per il declassamento subito poc’anzi dal Gambero Rosso, la cui redazione così ha motivato, con chiarezza: “Il tourbillon di pietanze sempre diverse ha ostacolato la creazione nell’immaginario collettivo di piatti simbolo che abbiano passato il vaglio del tempo e delle mode. Il tutto a fronte di un’ispirazione, oggi, meno efficace rispetto al passato”. Altri rilievi sulla carta dei vini, a dire il vero meno giustificabili perché debitori di un gusto personale, che può essere valido o meno valido.

 

Ci lascia più perplessi, semmai, il preambolo che introduce le spiegazioni gamberistiche: “I tempi cambiano e il fine dining si evolve, ma a Casa Vissani non sempre si tiene il ritmo del tempo”. Si evolve? Il concetto di evoluzione è declinabile su scoperte della tecnica o della scienza o dell’informatica, o sulla stessa biologia umana: in questi campi, una cosa che arriva dopo ha sempre un progresso, quindi sì, si evolve. Un’altra faccenda se si parla di arte o di cucina: si può dire che Michelangelo sia più evoluto di Giotto? Che Mozart sia più evoluto di Monteverdi per la qualità intrinseca delle composizioni? In questioni puramente estetiche, adottare schemi di ragionamento nati per qualificare progressi concretamente e incontrovertibilmente misurabili, come quelli tecnici o quelli dell’efficienza biologica di un organismo, è alquanto scivoloso. Per un motivo sostanziale: il miglioramento di un piccolo laptop odierno rispetto a un Pc 386 di trent’anni fa lo si vede a occhi chiusi, ma il gusto estetico dipende dal proprio personalissimo sentire e non da scale oggettive e incontrovertibili. Quindi no, non esiste una cucina più ‘evoluta’ di un’altra. Così come non esiste la mitica ‘evoluzione del gusto’ di cui tanti soloni, specialmente vinicoli amano cianciare, dimenticando che molto spesso questa ‘evoluzione’ è semplicemente ciò che piace a loro. O, peggio, ciò che piace di più al mercato, e dunque ipso facto ritenuta migliore.