Filippo La Mantia, oste e cuoco, racconta la sofferta decisione di chiudere il ristorante. Poi, la condivisione della cucina con il “compagno d’avventura” Giancarlo Morelli. Un’esperienza di scambio da cui trarre insegnamento per il post-Covid.

 

di Elisa Tonussi

 

È un uomo di cuore Filippo La Mantia. In poche parole, durante la nostra breve conversazione, ha lasciato trasparire il suo amore viscerale per la cucina e il ristorante: “il palcoscenico”, come lo ha definito lui stesso. A settembre, ha preso la sofferta decisione di chiudere il locale in Piazza Risorgimento a Milano. Ma ha gettato il cuore oltre l’ostacolo. E con l’amico di sempre, lo chef Giancarlo Morelli, ha iniziato a condividere gli spazi della cucina del ristorante Morelli per garantire ai propri clienti il servizio di consegna e asporto e per consentire ad alcuni impiegati di riprendere a lavorare. Un’esperienza di collaborazione e condivisione umana e ideologica, da cui trarre insegnamento. Anche quando il Covid sarà stato superato.

 

Ripercorriamo insieme gli ultimi mesi, dalle prime difficoltà alla scelta di chiudere il locale a Milano.

Sono state decisioni difficili da prendere. Pezzi di vita che ho scelto di annullare. Solo momentaneamente, spero. Però, in questo momento, occorre essere realisti: andare avanti a oltranza con una struttura come la mia non era possibile. Era organizzata per grandi eventi e con numerosi coperti, in assenza di eventi, non riuscivo a pagare le spese esorbitanti della struttura. Così a settembre ho deciso di chiudere il luogo. La mia azienda però è ancora attiva. Credo di aver fatto la scelta corretta.

 

Come è nata l’idea di cucinare ai fornelli di chef Morelli?

Inizialmente non volevo fare nulla, ma ricevevo tante telefonate da clienti che chiedevano l’asporto e il delivery. Ho così iniziato a cercare una cucina. A inizio gennaio ero a pranzo con Giancarlo, siamo amici da vent’anni. E, parlandone, mi ha proposto di condividere gli spazi della sua cucina. Sono stato ovviamente molto felice della sua proposta. Innanzitutto perché per me è come un fratello. Poi la location, il ristorante Morelli, è molto vicina a casa mia e le cucine sono nuove. Posso così accontentare i miei clienti. Il delivery infatti sta andando benissimo.

 

Come vi siete organizzati?

Abbiamo dovuto sbrigare una serie di pratiche amministrative e burocratiche. E abbiamo dovuto delimitare le zone di lavoro all’interno della cucina. Abbiamo ottenuto i permessi in fretta, così ho cominciato a inizio febbraio. Stiamo facendo un buon lavoro.

 

Avete riscontrato difficoltà in questa convivenza?

Difficoltà zero. Lavoriamo in comune armonia. La situazione in cucina è straordinaria, di grande intimità e tranquillità. Si lavora praticamente in squadra. Ovviamente, economicamente parlando, tra l’affitto, gli stipendi di cinque persone, la materia prima, la percentuale sul delivery, personalmente non incasso nulla. In questo modo, però, sono riuscito a far tornare a lavorare alcuni ragazzi della mia brigata e a offrire un servizio ai clienti.

 

Insomma, questa esperienza è molto stimolante.

Non le nascondo che è sempre stato un mio desiderio. Sono per le collaborazioni e gli scambi, non sono mai stato competitivo. Non tutti, però, sono pronti per questo tipo di attività. È il momento di stare uniti, di condividere. Questo sarà il tema post-Covid: bisogna assolutamente scambiare informazioni ed energie. Da soli non si fa niente.

 

È una consapevolezza a cui molti cuochi sono giunti nell’ultimo periodo.

È scontato. Soltanto uniti possiamo andare avanti. Alcuni cuochi e chef sono individualisti, chiusi nel proprio orticello. Questione di personalità.

 

È per questo motivo, dunque, che non tutti sono pronti per la condivisione?

No, è che a volte la competitività frega l’essere umano. La condivisione fra colleghi, però, è sana e giusta. Facciamo tutti lo stesso lavoro, abbiamo tutti gli stessi problemi. Ogni giorno, io e Giancarlo ci sediamo in cucina e scambiamo idee, informazioni, dubbi e paranoie. Ridiamo e scherziamo, ma condividiamo la malinconia di questo periodo senza ospiti in sala: ci manca il nostro palcoscenico. È bellissimo avere un compagno d’avventura. La nostra è una condivisione ideologica.

 

Come ha dovuto adattare la sua cucina per il delivery?

Ero inizialmente contrario al delivery. Poi, a febbraio 2020, poco prima della pandemia, ho conosciuto cosaporto.it e mi è piaciuto. Ho iniziato così a proporre alcuni prodotti. Con il lockdown ho scoperto che la mia cucina è molto adatta al delivery. In fondo è lo street food palermitano. Ho anche creato i kit con la pasta, la salsa pronta, il cous cous, i cannoli con la ricotta nella sac-à-poche e la frutta candita sottovuoto.

 

Quanto le manca la vita ‘di prima’ in cucina?

Il ristorante mi manca tantissimo! Poi il posto era bellissimo, frutto di un grande investimento. Pensare che gli arredi e la parte tecnica sono in un magazzino mi fa stare male.

 

Ripartirà però?

Sicuramente. Al momento più opportuno. Riaprirò a Milano, ma farò un laboratorio più piccolo. Vediamo cosa succederà. Non ci voglio pensare!