Dominique Crenn, tristellata americana, ha deciso di vendere a 3.800 dollari il diritto di far parte di una sorta di community per ‘prenotatori eccellenti’ nel suo ristorante. Pranzo compreso? Per niente: il conto è a parte.

 

Tommaso Farina

 

Cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”: così nell’Amici Miei di Monicelli sentenziava il conte Mascetti (alias Ugo Tognazzi), a proposito di una tragicomica beffa ideata dal suo compare Necchi (Duilio Del Prete). E in effetti, la trovata che commentiamo qui ha il sapore di uno scherzo, uno sberleffo. Una grande chef americana d’origini francesi, Dominique Crenn, ha avuto una bella pensata: prendiamo all’amo i tanti straricchi che in California abbondano, e facciamoli pagare per non mangiare. Magari non sono le intenzioni, ma stringi stringi quello è il risultato. Dominique Crenn ha tre stelle Michelin in un Paese, gli Stati Uniti, con cui la Guida Rossa ha un rapporto contrastato: per essere precisi, è la prima donna ad avere meritato il massimo riconoscimento sul suolo americano. Il suo ristorante, l’Atelier Crenn, si trova nella solare San Francisco, in Fillmore Street.

 

San Francisco è la città mediamente più cara di una California già non esattamente a buon mercato. Sul sito web del ristorante non appare il minimo accenno al menù del locale, ma cercando in giro non è difficile scoprire che un pasto costa più di 400 dollari a testa. Prezzi comprensibili per un ristorante con le tre stelle in California. Peraltro, è anche possibile portarsi il vino da casa, pagando un “diritto di tappo” di 90 dollari, e avendo l’accortezza di recare unicamente bottiglie non presenti sulla carta dei vini: che peraltro non sembra consultabile, per cui si va sulla fiducia. Ma qui siamo nel consueto.

 

La trovata a cui accennavamo è quella della ‘Crenn Collection’. La presentano così: “Diventa membro per sperimentare la magia tra le mura dell’Atelier Crenn e condividere i nostri valori – umanità, sostenibilità, talento artistico ed eccellenza – attraverso il linguaggio della gastronomia e dell’ospitalità”. Accidentaccio! Parole sobrie e contenute, scevre di retorica ed enfasi… Si clicca sul bottoncino per iscriversi, ed ecco cos’è: l’accesso al calendario completo delle prenotazioni al ristorante, a un ‘open table’ al Bar Crenn, a eventi su misura e varie altre cosette. Costo? All’incanto, 3.800 dollari. Come l’affitto di una casa a Los Angeles. Il tapino che è in noi si domanderà: “Con questo obolo, a quanti pasti si ha diritto?”. Eh, poveri illusi! La risposta è: nessuno. Si paga in pratica una specie di diritto di prelazione sulle prenotazioni, che, come in ogni posto fighetto e sostenuto che si rispetti, richiedono una trafila noiosa e complicatissima. Il pranzo, sempre che rimediate un tavolo, si salda in separata sede. Non capite il senso di questa geniale operazione? No? Beh, nemmeno noi. A meno che non si tratti, prosaicamente, di rimediare un po’ di sana liquidità a interesse zero, il che non fa mai male.

 

Perfino in Italia, Paese in cui molti ristoratori spessissimo hanno il brutto vizio di solidarizzare contro quei brutti ceffi dei clienti, qualcuno ha accolto la notizia a denti stretti. Alessandra Meldolesi, giornalista che tempo fa ha raccontato dell’iconica brioche della Crenn, forse il suo piatto più illustre, su facebook ha sbottato: “Questa ideologia dell’alta cucina per super ricchi è scandalosa. Come dice Uliassi, i miei clienti preferiti sono la parrucchiera e il meccanico che risparmiano per festeggiare una volta l’anno”. Chiaramente, ci sono stati anche i soliti con la sindrome di Stoccolma che hanno invece plaudito, con il più classico dei mantra deresponsabilizzanti: “Se riesce a farsi pagare, ha ragione lei”. Davvero? Beh, dipende. Il marketing non lo fa solo chi vende. Lo fa anche chi compra. E chi compra non sempre ha l’anello al naso.