La penna del Corsera rilascia un’intervista su storture e intrallazzi nella ristorazione. I giornalisti? “Fanno il doppio gioco”. Le guide? “Strumenti anacronistici”. Gli influencer? “Intrattenitori”. Le nuove aperture dei locali? “Spesso in mano alla mafia”…
di Tommaso Farina
Questo 2025 ci sta dando parecchie soddisfazioni. Sembra che il far semplicemente notare la mancanza di vestiti dell’imperatore, atto squisitamente rivoluzionario che non a caso Hans Christian Andersen mise in bocca a un innocente bambino, stia diventando una disciplina sempre più praticata, anche parlando della ristorazione. L’allegoria ideata dal favolista danese ultimamente sta trovando un numero crescente di interpreti, che mettono all’indice le mille contraddizioni e le magagne del vasto teatro che gira attorno agli chef, spesso ipocritamente sottaciute per quieto vivere, se non addirittura per interessi economici.
L’ultimo in ordine di tempo è stato di nuovo Valerio Massimo Visintin. La penna al curaro del Corriere della Sera, fustigatore di costumi e malcostumi dei fornelli e dell’indotto circostante, ha fatto di nuovo notizia. Italia a Tavola ha infatti stuzzicato la coda del drago con un’intervista al pepe e al sale, gustosissima da leggere.
Anni fa, lo ammetto, non ero un indiscusso estimatore di Valerio Visintin: ne ammiravo l’integrità, ma mi sembrava che il suo essere ostinatamente ‘contro’ fosse una posa, paragonabile al suo costume mascherato. Mi sbagliavo, non ho problemi a riconoscerlo: col tempo si cresce, e ragionando si capiscono meglio le cose. E dopo 25 anni in questo settore, dopo una sbornia intensiva di litanie dei corifei e degli araldi di questo o di quello chef, non posso che accreditare al collega tutta la stima che merita.
“La critica gastronomica avrebbe ancora uno spazio: non l’ha mai davvero sfruttato, perché siamo nati male, prendendo da subito la strada dell’etica e della deontologia contromano. E adesso ci ritroviamo messi malissimo”: beh, obiezioni vostro onore? Visintin si spiega meglio, addentrandosi in un argomento già altre volte affrontato: “Molti si presentano come giornalisti, ma poi le critiche che scrivono sono edulcorate, ingentilite, addolcite, comprate, vendute. E ci sono anche tanti giornalisti che fanno il doppio gioco: fanno l’ufficio stampa, spesso alla luce del sole – perché ormai non ci si fa nemmeno più caso – e continuano a scrivere come giornalisti nello stesso settore, trattando più o meno con gli stessi soggetti”. Di un caso specifico, da lui stesso portato alla luce, avevamo parlato anche noi: controllore e controllato che si identificano, una stortura spesso vista anche in settori di pubblico interesse.
Visintin smonta subito gli influencer: in fondo, sostiene, tutti capiscono che fanno puro e semplice intrattenimento, e non informazione. E le care vecchie guide gastronomiche? “Sono strumenti anacronistici, perché ormai costerebbe troppo realizzare una guida seria sui ristoranti, andando davvero nei locali, senza farsi pagare da loro, provandoli uno a uno e scartando quelli che non meritano di essere inseriti. È una spesa insostenibile per l’editoria di oggi, e quindi si è trasformato tutto in una fiction alla quale si finge di credere”. Ma come, anche la Michelin? “Presenta moltissime ombre e nessuna trasparenza”.
Visintin si diffonde anche su moltissime nuove aperture di ristoranti, soprattutto a Milano, spesso destinati a durare pochissimo: “Non possiamo ignorare che molti di questi ristoranti, almeno uno su cinque nelle grandi città, siano inquinati da un sottofondo mafioso. Poi c’è la nuova ondata: quella dei fondi finanziari, di cui non si sa praticamente nulla. Non si conosce chi ci sia dietro, non si sa come nascano né dove finisca esattamente la loro gestione economica. Questi fondi aprono catene di ristoranti in serie oppure acquistano immobili, sfrattano i locali esistenti e ci piazzano dentro nuove catene”. Su questo tema, Visintin ha scritto spesso. E delle mani lunghe della mafia, non si manca di parlare. Ma anche i più puliti fondi di investimento, in fondo, drogano il mercato: “L’importante è che il ristorante esista, perché è quello il vero business: serve a ripulire denaro per le mafie e a muovere capitali per i fondi finanziari”. Le gestioni familiari non possono gestire ad armi pari la concorrenza con gente che può permettersi di lavorare in perdita. Occorre veramente ripetere queste cose? Evidentemente sì. E queste cose, nell’ultimo anno, si sono in effetti ripetute spesso, con mea culpa e ripensamenti intelligenti di molti chef, che hanno parlato della sostenibilità della grande ristorazione. Forse si sta muovendo qualcosa, non è un fuoco di paglia. E i Visintin non faranno più la figura dei Pierini che disturbano le claques osannanti. Servono più loro che gli yesmen.
Immagine creata con IA.