Report (Rai 3) torna sul luogo del delitto, occupandosi di vino. Stavolta, nel mirino c’è il Passito di Pantelleria di Donnafugata, accusato di essere prodotto con metodologie furbesche, che invece sono perfettamente lecite. Ma tant’è: lo spettatore che vuole vedere il sangue è servito.

 

di Tommaso Farina

 

Cui prodest? Tradotto: a che serve? È questo ciò che, col cuore in mano, mi viene da chiedere guardando e riguardando il servizio giornalistico andato in onda domenica 2 febbraio su Rai 3 nella ormai mitica trasmissione Report, che ha dedicato oltre 23 minuti di filmato a congetture e strane allusioni sul Passito di Pantelleria. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire. Anzi: sotto le serre, visto l’argomento della puntata, che vedremo. Il bello è che il documentario, chiamiamolo così, ha un titolo eloquente: “I furbi del passito”. Un titolo che si ritorce impietosamente contro ciò che si vede in video, giacché chi ha un minimo di infarinatura sull’argomento trattato non ha potuto non notare come sia stato il servizio stesso a esibire una gragnuola di furbettismi e di trovate per far apparire sospette, se non addirittura truffaldine, tutta una serie di cose perfettamente lecite e normali. Il gusto di épater les bourgeois, di cercare sensazione, di stupire il pubblico meno smaliziato, è spesso latente in Report, e domenica sera ne abbiamo avuto un esempio altamente probante.

 

In pratica, che ti fa Emanuele Bellano, l’incursore di Ranucci? Si reca sull’assolata Pantelleria per approfondire la produzione del locale Passito di Pantelleria Doc, esaminando l’appassimento al sole delle uve che lo caratterizza. A un certo punto, il giornalista si domanda: “Ma cosa saranno mai quelle serre?”. Eccole lì: si vedono, tra le viti, alcune coperture. Sono quelle che usa Donnafugata: ci mette sotto le uve, per proteggerle dalle intemperie e farle appassire meglio, e più velocemente. Da questo appassimento nasce il Ben Ryé, uno dei più reputati Passiti di Pantelleria al mondo. Apriti cielo: come osano? Sarà mica una scorciatoia? Vaglielo a spiegare, che la pratica è espressamente prevista dal disciplinare di produzione depositato e legalmente vigente, appunto per proteggere l’uva da piovaschi improvvisi. Un produttore di Pantelleria che vuole restare anonimo (ma perché? Ha paura che Ranucci mandi qualcuno a castigarlo? Siamo davvero al punto di dover essere terrorizzati da subdole illazioni televisive un tanto al chilo?) al Gambero Rosso dichiara: “Non è mica facile lasciare le uve così al sole, se arriva un acquazzone noi perdiamo tutto il lavoro di un anno. Grazie alle serre si fa passito in sicurezza”. Non ha timore di esporsi invece Francesco Rizzo, titolare di Vinisola: “Sono molto sorpreso delle modalità con cui è stata fatta l’inchiesta. Le serre – quelle che si sono fatte vedere nelle immagini della trasmissione – sono sull’isola da molto tempo. Chiamiamole come vogliamo, serre o copertura”. Insomma: si fa passare per furbesco un metodo espressamente previsto dalla legge.

 

Ma non è tutto. Più avanti, nell’inchiesta, si parla anche d’altro, e Bellano in certi punti dà l’idea di aver visto un elefante rosa passare per la strada, raccontando con toni stralunati cose di cui sembra avere cognizione molto labile. Per esempio, quando rimarca che Benedetto Renda è produttore di Passito e anche presidente del Consorzio Vini di Pantelleria, paventando imprecisati “conflitti d’interesse”. Un produttore che è presidente di un consorzio, mai visto prima eh? È così in tutti i consorzi italiani: è il direttore a essere un manager terzo, non il presidente, che è eletto tra i viticoltori consorziati. E poi, parlare di possibilità di confusione tra Passito di Pantelleria e Passito di Pantelleria Liquoroso, come fa Report mischiando le carte, è quantomeno azzardato: tutte le bottiglie di quest’ultima tipologia scrivono “Liquoroso” a chiare lettere in etichetta. E diamine: i consumatori non sono tutti cretini, ciechi o pecore credulone e fideiste. Questo tono da svelamento dei misteri di Fatima è a dir poco bizzarro.

 

Ma sembra che Report voglia scagliarsi contro i grossi nomi del vino di lusso: l’anno scorso aveva sversato veleni su Tenuta San Guido (alias Sassicaia), ora tocca a Donnafugata. Il diritto di critica è sacrosanto, beninteso, ma questi produttori d’eccellenza, che hanno la colpa di vendere bene vini non proprio a buon mercato, sono davvero tutti brutti, sporchi e cattivi? Mi viene in mente il cosiddetto complesso di Erostrato: il pastorello che nel 365 a.C. diede fuoco al tempio di Artemide di Efeso, una delle sette meraviglie del mondo antico, solo per diventare famoso. E in effetti, lo diventò, tanto che gli studiosi della mente diedero il suo nome all’atteggiamento di chi distrugge per avere l’immortalità. Si torna alla domanda di partenza: a che serve? Se si vogliono scoprire le magagne del settore (e ce ne sono), non si potrebbe puntare alle magagne vere, reali?

 

 

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