Parla il giornalista querelato dallo chef vicentino: “Nessun problema personale con lui”. Appuntamento in tribunale tra qualche mese per il finale.

 

di Angelo Frigerio e Tommaso Farina

 

Law & Order in cucina, ultimo atto. Carlo Cracco torna in tribunale. Come parte lesa. Lo chef vicentino, volto conosciutissimo non soltanto dai gastrofanatici, anni fa ha sporto querela contro un giornalista, accusandolo di aver formulato critiche un po’ troppo acuminate. Il giornalista in questione è Achille Ottaviani, veneto, classe 1950, fondatore e direttore de Il Mattino di Verona, un quotidiano online che punta tutto sulla notizia e la comunicativa. Riassunto: nell’aprile 2016 Cracco ha cucinato per celebrare i cinquant’anni del Vinitaly. Megacena a Verona, 400 invitati, posti litigatissimi nell’anfiteatro dell’Arena. Ebbene? Ad alcune persone, le cibarie e l’organizzazione del mega evento sono apparse a dir poco migliorabili. Tra esse, anche Ottaviani, che rispetto agli altri aveva un’arma in più: la penna. Così, sul sito www.cronacadiverona.it, eccolo scolpire un caustico corsivo: “Menù, qualità del cibo e relative mescolanze sono state per la gran parte dei 400 vip invitati una delusione. Il commento più buono reso è stato ‘migliori le patatine San Carlo di cui Cracco fa da testimonial’ “. Cracco si risente, e querela. Dapprincipio, nei palazzi giudiziari chiedono l’archiviazione: il diritto di cronaca e di critica, sostiene il pm, tutela pienamente le parole di Ottaviani. Il quale, vista la temporanea vittoria, decide di fare un po’ di ironia giornalistica sulla stella Michelin che nel frattempo (2017) Cracco ha appena perso. Ottaviani è uno che non ha paura di mettersi contro i grossi calibri. Ma i legali del cuoco fanno presente un’altra problematica: secondo loro, il giornalista, per formulare i suoi giudizi, si sarebbe avvalso unicamente di battute orecchiate, da persone presenti alla cena e mai nominate. Ai primi di febbraio 2021, con la caratteristica speditezza della giustizia italica, il giudice per le indagini preliminari dice la sua: cioè, che il caso giudiziario deve proseguire, perché Ottaviani, in sostanza, avrebbe esagerato, e “che non si possa invocare il diritto di critica, poiché l’articolo non esprime il giudizio dell’autore ma una forma espressiva indicante, all’apparenza, l’intento di volere fare la cronaca di commenti e giudizi da altri espressi”. Quindi, via al processo.

 

Ai primi di maggio, Cracco ha parlato al processo, in qualità di parte lesa. “Offese gravissime alla mia persona, alla mia esperienza e alla mia carriera”: così Cracco definisce le parole di Ottaviani, riferendosi soprattutto al suo secondo articolo, quello sulla “stella cadente”. Un articolo che, secondo lo chef, sarebbe stato piuttosto “un’invettiva personale e inutilmente lesiva”. E rincara la dose, citando le espressioni utilizzate dal giornalista nel suo pezzo: “Tutto falso, non sono un ‘montato’ e non sono un ‘arrogante’, così come non corrisponde al vero che la guida Michelin mi avesse ‘ridimensionato da cuoco a giudice televisivo’. Pura infamia”. Fin qui, l’ira funesta di Cracco. Ma l’altra campana? Le parole di Cracco hanno trovato larga eco sulla stampa. Qualcuno ha pensato di telefonare al giornalista? No, nessuno: non è un volto mediatico, uno che attira audience. Anzi no, errore: qualcuno che l’ha chiamato c’è. Siamo stati noi, e con lui abbiamo chiacchierato per un po’.

 

Allora Ottaviani, dovrà andare anche lei a testimoniare?

 

La prima cosa che mi chiedo è: il diritto di cronaca e di critica, che è riconosciuto in Italia non solo ai giornalisti ma a tutti i cittadini, esiste ancora o è andato a ramengo? Si potrà ancora dire di aver mangiato male? O che è assurdo sedersi a tavola alle nove di sera e alzarsi all’una di notte? Hanno pure detto che io a quella cena non c’ero, e che ho scritto solo delle chiacchiere, voci dal sen fuggite di chi c’era davvero. Ma io c’ero: ero tra gli invitati. La mia testimonianza non è di seconda o terza mano. Davvero: tra ogni portata c’è stata un’ora di attesa, a dir poco snervante.

 

E davvero questa cena è stata così disastrosa?

 

Quel risotto gridava vendetta, certo non era degno del grande nome dello chef che lo aveva concepito. Zenzero, limone e pomodoro: troppo acidulo.

 

E il dolce?

 

Il dolce è arrivato quando la gente si era ormai stufata di stare con le gambe sotto il tavolo. Così ho raccolto le lamentele dei presenti, tra cui persone importanti. Tutte stroncate dall’andamento lentissimo della cena. Forse per 400 persone la cosa andava gestita diversamente, con un menù più semplice e più semplicemente realizzabile con tal numero di invitati. Ho scritto un articolo. Cracco mi ha risposto su Facebook. Il resto della stampa di Verona, anche quella più importante, ha invece ignorato il caso, forse per questioni di rivalità e gelosie professionali che nel nostro mestiere ci sono sempre. Forse, anche, non volevano guastare i rapporti con un personaggio tanto noto e importante.

 

Ma lei farebbe volentieri conoscenza con Cracco?

 

Certo, avrei piacere. Io non lo conosco, non ho alcun motivo di rancore nei suoi confronti. La mia penna è stata vivace, ruvida, ma non è stata una questione personale. Mi sono occupato solo e soltanto della sua cena-flop in quel di Verona. Ho detto una cosa semplicissima, da povero cronista di provincia: una cena per niente eccezionale, e per giunta lenta, interminabile. Non ho alcun dubbio che nel suo ristorante sarà bravissimo. Ancora non ci sono stato, ma se capiterò e mi troverò bene, lo dirò sicuramente. Ma dirò lo stesso se mi ci troverò male.

 

Ma come andrà a finire?

 

Trovo che una querela per cose del genere sia uno spreco di risorse in un sistema giudiziario che non brilla per snellezza e agilità, nonché uno sperpero dei soldi del contribuente. Mi condanneranno? Ricorrerò in appello, e poi mi assolveranno. Ora se ne riparla per questa estate.