Il ristoratore bolognese propone un 5% fisso a cliente perché uno stipendio adeguato al personale costa troppo ai ristoratori. Soluzione: farlo pagare a noi. Del resto, è noto che nel 2025 cenare costa così poco…

 

di Tommaso Farina

 

“Si prega di dare alla cameriera la mancia obbligatoria”. Su un libriccino tipo ‘stupidario’ di qualche anno fa (non mi ricordo esattamente il titolo), che censiva cartelli strani e inverosimili, appariva anche questa scritta, rinvenuta all’interno di un ristorante italiano. Me n’ero completamente dimenticato, fino a qualche giorno orsono: l’estemporanea proposta di Piero Pompili, distinto maître di sala bolognese, di introdurre una mancia per l’appunto obbligatoria, mi ha riportato immediatamente alla memoria questa citazione. Il casino apocalittico che quest’idea ha suscitato, esposta da lui medesimo in una lettera a FanPage.it, ve lo lasciamo immaginare. Quello che non tutti sanno, è che Pompili da qualche anno caldeggia una percentuale, se pur minima, imposta al cliente: in un’intervista concessa al dorso bolognese del Corriere della Sera l’aprile scorso, il ristoratore felsineo ricorda come avesse avanzato anni prima un’analoga proposta, a margine di Identità Golose. Ad aprile, l’intervista era passata pressoché inosservata. Stavolta invece no.

 

Per Piero Pompili, personaggio spesso provocatorio oltre che di innata simpatia, pagare adeguatamente il personale sarebbe antieconomico, anzi insostenibile per un ristoratore, che si troverebbe a sborsare 4.600-4.800 euro per farne trovare 3.000 netti in busta ai suoi dipendenti. Soluzione? Un 5% di balzello obbligatorio per il cliente.

 

E come doveva reagire la gente? “Questo vive sulla luna” è uno dei commenti più benevoli letti in merito. “Il solito populismo becero da social network”: liquidare certe reazioni così è fin troppo facile. Soprattutto tenendo conto del fatto che l’idea di Pompili ha ricevuto critiche anche feroci non solo dall’esecrato ‘popolo bue’ (ma chi saranno mai? Sono solo i vostri clienti…), ma anche da colleghi del settore. Basti la conclusione lapidaria che Pasquale Caliri, chef messinese con un passato nel mondo del giornalismo professionale, ha riservato alla trovata: “Quindi per ‘tamponare la situazione critica delle retribuzioni’, che ha ben altre cause, carichiamo sul cliente che già è ai limiti?”. Caliri coglie una doppia verità. Tanto per cominciare: se lo Stato tartassa le imprese con politiche fiscali draconiane, che colpa ne hanno i clienti paganti? Devono dare il contributo di solidarietà? Poi, il secondo punto: la cosa avrebbe scandalizzato anche anni fa, ma oggi risulta a maggior ragione abbastanza assurda. Avete presente il momento storico? Gli aumenti dei prezzi galoppanti, le discussioni sulla sostenibilità di una ristorazione che propone ‘esperienze gastronomiche’ con sempre meno persone che possono permettersele non sono esattamente infrequenti. È vero: un 5% non sarebbe probabilmente un gran salasso. Ma sempre soldi sono.

 

Giovanni Puglisi, comunicatore e presidente dell’associazione degli ex alunni dell’Università di Scienze Gastronomiche, ci va giù ancora più duro, con argomenti tutt’altro che peregrini: “Ve lo dico io: le mance obbligatorie sarebbero la botta finale alla marginalizzazione della clientela italiana. Il sogno dei ristoratori che ne suggeriscono l’introduzione è quello di rendersi inaccessibili alle utenze locali e di lavorare solo con clientele internazionali più capaci di spendere, facendo leva sull’overtourism e spingendo l’acceleratore sulla disneyficazione delle città e del patrimonio culturale, naturalistico e artistico nazionale. Sognano di alzare lo scontrino medio, scaricare il costo del lavoro sui conti rifilati ad americani e arabi, e magari di beccarsi anche una fetta delle mance incassate, possibilmente esentasse. E se nel frattempo tutto il resto intorno affonda, allora pazienza”.

 

Il bello è che hanno ragione sia loro sia Pompili: il lavoro costa troppo. E allora che si fa? Sinceramente, credo occorrerebbero altre soluzioni, diverse da un’idea che profuma troppo del “privatizzare gli utili, socializzare le perdite” che chi ha studiato la storia economica di certa imprenditoria italiana ha purtroppo ben presente.

 

Immagine generata con IA.

 

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