Lo chef Roberto Conti guadagna più di un direttore di banca, ma dorme meno di 7 ore per notte. E vorrebbe avere più tempo per sé. Il collega Franco Aliberti l’ha preceduto: dopo una carriera tra le stelle, ora fa il papà. Ma in questo settore la famiglia va così poco d’accordo col mestiere?

 

di Tommaso Farina

 

“Guadagno il quintuplo di un direttore di banca”. Il titolo che il Corriere della Sera ha apposto all’intervista che lo chef Roberto Conti ha concesso a Roberta Schira è quantomai indovinato: un giornale è fatto per essere letto, e un’apertura così è una calamita per i lettori. Soprattutto sui social network, dove le discussioni sui soldi (di solito, quelli degli altri) tengono sempre banco. Lo scopo è stato raggiunto: l’intervista è stata uno degli articoli di maggior successo questa settimana. Ma al di là delle considerazioni mediatiche, la curiosità per la lettura suscita un altro interrogativo: come mai, se si guadagna tanto, i ristoranti faticano a trovare personale?

 

La risposta ce lo dà il medesimo Conti, 42 anni, pavese, calciatore mancato, una vita in giro per cucine. A proposito, la cucina, l’unica materia in cui, alla scuola alberghiera, avesse buoni voti (lo ha ammesso lui stesso, sorridendo). Oggi Roberto Conti non ha un ristorante proprio, ma ha scelto di far crescere i locali altrui: Terrazza Duomo 21 a Milano, per esempio. Oppure, il Saint Georges Premier, nel parco di Monza. O le cucine dell’hotel di Philipp Plein, ancora a Milano. Ebbene, questa è la sua giornata: “Mi sveglio intorno alle sei di mattina, vado in palestra e mi alleno tutti i giorni, il giovedì gioco a tennis. Ci tengo molto alla forma fisica e mi è rimasto l’amore per lo sport, seguo una dieta speciale di sei pasti al giorno. Dalle 9.30 alle 17 mi dedico completamente alle consulenze, dalle 17 a mezzanotte sono fisso da Philipp’s”. Morale? “Sono drogato di lavoro”. Una routine che farebbe invidia a un monaco. Ma il riposo del guerriero, mai? “La domenica è il mio unico svago: pranzo fuori con la famiglia e mi concedo una buona bottiglia di Champagne”. Poi porta la figlia a scuola tutte le mattine. Un tour de force pressoché degno del famigerato Aleksej Grigor’evič Stachanov, il minatore russo tanto infaticabile che gli dedicarono un termine che tutti conosciamo: stacanovismo. Poi la paga è buona, anzi ottima: cinque volte un direttore di banca. Ma a che prezzo? Persino lui, a denti stretti, ammette un malcelato desiderio di cambiare registro: “In questo momento della mia vita sono concentrato su questi obiettivi, ma non sarà così per sempre”.

 

Che voglia fare come Franco Aliberti? Quasi a rispondere all’intervista pubblicata dal Corrierone, a stretto giro la concorrenza di Repubblica ci ha donato la chiacchierata che Andrea Vivaldi ha intavolato con lo chef già collaboratore di Alain Ducasse, Gualtiero Marchesi, Enrico Bartolini e Massimo Bottura: “Abbiamo lasciato Milano, viviamo in collina vicino Lecco. Faccio consulenze per aziende e progetti gastronomici e tengo corsi di cucina per bambini, così riesco a modulare meglio il mio tempo. Ma il mio primo impiego è fare il papà”. Proprio così: Aliberti ha scelto di allontanarsi dal calore cocente dei fornelli. Non ce la faceva più: “Lavorare 24 ore al giorno non mi sembrava una scelta e non volevo che mio figlio crescesse senza avermi attorno o che io lo vedessi diventare grande solo perché occupava più spazio nel letto. È la scelta migliore che potessi fare”. Un rimpianto? “Che non si riesca a trovare un equilibrio tra vita privata e professionale, che figli e lavoro siano a volte alternative non conciliabili. Stare con i miei bambini è quel che mi ha arricchito di più. Ho messo da parte la passione, è vero, ma se avessi solo lavorato mi sarebbe mancata tanta vita”. Già nel 2022, Aliberti aveva preso questa decisione, e l’aveva annunciato: si sarebbe dedicato al figlioletto e alla moglie, che tra l’altro è Lisa Casali, un’autrice di libri di cucina che anni fa aveva incuriosito tutti con il volume ‘Cucinare in lavastoviglie’. Oggi, nel 2025, non tornerebbe indietro: “Mai pentito. Ma devo ringraziare quel che avevo costruito sino ad allora: senza quella gavetta avrei fatto fatica a sopravvivere”. Aliberti si è anche soffermato sulle difficoltà culturali e fattuali nel concedere ai padri, in Italia, qualcosa di veramente paragonabile al congedo di maternità. Aliberti ora sta bene, ha lasciato il trantran caotico cittadino. E sotto sotto, anche Conti sembra agognare una vita più rilassata e meno stressante. Loro però ce l’hanno fatta. Ma un giovane a inizio carriera dev’essere per forza obbligato a scegliere tra lavoro e vita? Una bella via di mezzo, no?