La ristorazione blasonata davvero ha stancato i clienti ed è poco sostenibile? L’abbiamo domandato a cuochi e maître di prestigio, e le risposte sono state tutt’altro che scontate. Con opportuni aggiustamenti e correttivi, il treno potrà marciare ancora.

 

Tommaso Farina

 

Sulla vera o presunta crisi della ristorazione fine dining, si sono espressi giornalisti, opinionisti e personaggi di ogni genere. Ma i diretti interessati, i cucinieri, i maître, cosa dicono? Finalmente han parlato. Intanto cominciamo a citarne uno che è stato intervistato dal Gambero Rosso: Niko Romito, chef da tre stelle. Il cuoco abruzzese non concorda con certi toni da tragedia: “Dire e scrivere che il fine dining è morto non corrisponde al vero”. Poi elabora: “Sento spesso dire che il fine dining non è sostenibile economicamente: Casadonna Reale (il suo ristorante, ndr) ha una sua sostenibilità, a prescindere dagli altri progetti che seguo. Dopodiché si dovrebbe cominciare a pensare l’alta cucina come la Formula Uno, ovvero come fucina di ricerca e nuovi risultati necessari e utili per tutta la ristorazione”. E la cucina non alta ma media? “Ci sarà sempre una fascia media dei fine dining: è un percorso che abbiamo fatto tutti. Inoltre ho fiducia nei giovani, c’è una risposta interessante sui nuovi contenuti da parte dei giovani clienti che comprendono quanto alcuni temi affrontati dai fine dining siano centrali”. Insomma: per Romito, questa crisi è un elemento soggettivo, ossia non è così per chiunque. Quello che diciamo sempre anche noi: ogni ristorante fa storia a sé, impossibile prenderlo a esempio per giudicare un’intera categoria.

 

Fin qui Romito. Ma uno solo, per quanto importante, non bastava. Gli altri li abbiamo stanati noi. Abbiamo deciso di arruolare direttamente alcuni di loro. E non tutti sono della stessa opinione di Niko. In primis, Gianfranco Vissani. Vulcanico e irruente come sempre, l’umbro è un fiume in piena: “Questi ‘fine dining’ non hanno capito niente! Hanno sdoganato la cucina a bassa temperatura, i sifoni, la cucina con gli ultrasuoni, e che risultato hanno ottenuto? Che i clienti si sono rotti le scatole. E la gente che va al ristorante non si deve rompere, specie se sottoposta alla tortura di porzioni microscopiche e conti da 300 euro a coppia. Il cliente al ristorante deve godere!”.

 

Curiosamente, ha usato la stessa parola un altro illustre collega, Enrico Cerea del tristellato Vittorio di Brusaporto (Bg): “Negli stellati ci deve essere la certezza di trovare piacere, godimento. Io voglio godere, mangiare bene, divertirmi. La cucina dev’essere anzitutto emozione, che sia casual o fine dining. Noi abbiamo sdoganato i paccheri alla Vittorio, ossia una pasta col pomodoro, in questo famoso fine dining. Una pasta che facciamo col cuore, e che raggiunge il suo scopo: piacere a chi la mangia. Smettiamola di fare i professori”.

 

Un’altra che fa fine dining da decenni è Paola Bertinotti, del ristorante Pinocchio di Borgomanero (No), stellato da una vita e oggi giunto alla terza generazione: “Secondo me la cucina è una forma d’arte. Non puoi andare da Picasso a dirgli che il colore rosa fa schifo, e che tu useresti l’arancione. Come fai a dirgli come deve lavorare? A certi livelli, la cucina è un modo di esprimersi. In quello che si chiama fine dining c’è sempre qualcosa che fa la differenza, se hai il cuore. Poi noi, a dire il vero, rifuggiamo da certi tic, certe piccole mode di oggi: da noi sai che mangerai un rognoncino che riconoscerai come tale, e non ci sarà bisogno che qualcuno ti faccia una spiegazione per individuarlo nel piatto”.

 

Il siculo Filippo La Mantia attualmente si dedica a eventi e consulenze, ma ha anche lui un’opinione ben definita: “Il fine dining c’è sempre stato! È ovvio che gli stellati hanno costi superiori alla trattoria. Il fine dining va rispettato. Ci sono clienti che lo vogliono così. È come un’opera d’arte. Così come c’è arte semplice e arte complessa, ci sono cuochi che meditano ricette giorno e notte, e altri che fanno la spesa e in base a quel che hanno trovato ti inventano un piatto in un istante”.

 

Non si poteva concludere senza sentire, infine, un uomo di sala come Alessandro Pipero, a Roma: “Solite polemiche un po’ sterili. Però è vero che il nostro settore forse sta cominciando ad annoiare la nuova clientela. Stai tre ore in un ristorante ma un piatto lo mangi in pochi minuti? A molti non sta bene. Tuttavia credo proprio che il fine dining non sia al capolinea. Basta andare incontro al cliente, con del personale che sappia interpretare diversamente il suo ruolo in sala. Così, la cena non sarà più una noia”.