Oltreoceano c’è la ristorazione migliore del mondo. Laggiù i locali funzionano per quello che in effetti sono: imprese bisognose di pianificazione e investimenti. I casi di Los Angeles e Glendale.

 

di Tommaso Farina

 

Non c’è niente di meglio che tornare dalle vacanze ed essere salutati da una frase lapidaria. Dunque ve la servirò su un piatto di porcellana: in America c’è la ristorazione migliore del mondo. Prima di rumoreggiare con comprensibile smarrimento, badate bene: ristorazione, non cucina. Il che comunque non impedisce di trovare in ogni caso da mangiare benissimo. E di ammirare il funzionamento quasi sempre perfetto dei locali americani.

 

Quest’anno ho passato ancora una settimana di luglio a Los Angeles. E l’ho fatto anche per ragioni gastronomiche. Los Angeles ha una superficie sterminata (il territorio comunale è grande pressappoco come la provincia di Como, e la Contea di Los Angeles, che è quasi totalmente urbanizzata, corrisponde a poco meno del doppio del nostro Friuli-Venezia Giulia), e a un’estesissima area corrisponde una grandissima varietà di ristoranti. Per gli americani, mangiare è una delle azioni quotidiane più importanti, e gli imprevisti di lavoro e di vita fanno sì che vogliano concedersi un piatto anche nelle ora più impensate: dunque, occorre accoglierli. La città di Glendale, nella Contea di Los Angeles, ha la stessa popolazione di Brescia: 196mila abitanti. Ma se andiamo a considerare l’offerta di ristorazione, la Leonessa d’Italia scompare: sul solo Brand Boulevard, la strada principale di Glendale, si aprono almeno 100 indirizzi diversi. Steak house, catene di panini, ristoranti giapponesi, grill armeni, romantiche enclave libanesi o persiane. E fenomeni come Porto’s Bakery, che riassumono la grandezza e la genialità della ristorazione americana.

 

Porto’s fu aperto nel 1976 da una esule cubana, una donna fuggita dal regime di Castro. Rosa Porto e suo marito Raul arrivarono in California con solo i vestiti addosso, una forte etica del lavoro e una grande abilità nel fare dolci. La coppia si buttò e aprì il primo negozio a Los Angeles, sul Sunset Boulevard: ma non nella parte fighetta che attraversa Hollywood, quanto piuttosto al suo tratto più a ovest, a Echo Park, all’epoca assai meno allettante. Rischiarono, e vinsero. E iniziarono anche a cucinare, soprattutto le colazioni. Oggi, di Porto’s Bakery & Cafè ce ne sono sei, sparsi a Los Angeles e nelle cittadine dei dintorni. Il negozio di Echo Park non esiste più, ma quello di Glendale, che è diventato un po’ il principale, è un posto grande, luminoso, luccicante: da una parte la panetteria e la pasticceria, dall’altra il caffè ove consumare una sostanziosa colazione, o uno spuntino coi piatti e gli sfizi diventati ormai iconici, come i Refugiados (strudel di guava e formaggio), le patate ripiene, le empanadas, oppure l’altrettanto famoso sandwich cubano. Nelle ore di punta c’è una fila interminabile. Rosa Porto è purtroppo mancata nel 2019, ma il testimonio è passato ai figli Beatriz, Raul junior e Margarita, che hanno continuato la tradizione e allargato il business.

 

Quello di Porto’s è solo un esempio. Tutte le grandi catene di ristoranti sono cominciate con una vetrina. Oggi in Usa ce ne sono moltissime, e lavorano quasi tutte bene, con protocolli estremamente rigorosi, filiere controllate, e spesso e volentieri una cucina migliore di quanto si aspetterebbe un italiano con la puzza sotto il naso. Tutto questo è testimonianza di una grande realtà: lo spirito d’iniziativa tipicamente americano, che fa considerare il ristorante come quello che in effetti è, cioè un’impresa. Un’impresa bisognosa di pianificazione, investimenti e oculatezza. Oltretutto, un’impresa che ha al suo centro il cliente. Ed è vero che al medesimo cliente spesso e volentieri si fa pagare una mancia salatissima per il personale (non nei posti dove ritiri il cibo al bancone), ma il medesimo servizio fa di tutto per guadagnarsela. Certo, anche in Usa ci sono i super-stellatoni con paletti assurdi per prenotare (ovviamente solo online) e imposizioni draconiane nella scelta dei piatti. Ma anche in questi ultimi, si ha quasi sempre l’impressione che tutto sia comunque in onore del cliente finale e del suo godimento, e non dell’ego dello chef o di chissà chi altri. Se qualcuno vuole ancora guardare tutto questo con aria di superiorità, si faccia un giro in California: si disingannerà.

 

PH: “Sunset Boulevard, Los Angeles, California” by Vincent Lammin is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.