Lo chef Tano Simonato non le manda a dire. E parla di Coronavirus, del futuro – con il punto interrogativo – della ristorazione e della necessità di agire. E di certi colleghi “che se ne stanno con le mani in mano”.
di Elisa Tonussi
Tano Simonato, una stella Michelin con il suo ‘Tano passami l’olio’, è infervorato. E in un’intervista senza filtri parla della pandemia e dello stato in cui versa il settore. Per lo stellato, che si è messo in gioco in prima persona, serve un’azione compatta da parte di tutti i ristoratori, che devono scendere in piazza e far sentire la propria voce. Nelle sue parole, la passione di chi non intende farsi sopraffare dagli eventi.
Come ha affrontato Tano Simonato la crisi di questi mesi?
Sto sopportando. Ma è una situazione grottesca e paradossale. Inizialmente ho cercato di capire. Poi, dopo alcune ricerche, si è fatta più grande in me la convinzione che questa situazione è frutto di una malformazione ideologica, politica e finanziaria. Ne sono sempre più certo in virtù del fatto che chi ha creato questo virus, ora, vuole anche vaccinarci. Quando vengo accusato di essere negazionista e complottista, rispondo semplicemente che sono realista: hanno diffuso un virus e mi viene negata la mia libertà. Le mie ricerche sono state molto approfondite e sono senza parole per quello che leggo. Bisogna cercare di fermarli: ci hanno già portato via la libertà, il lavoro, la dignità e hanno massacrato la Costituzione. Mi hanno tolto anche le scarpe! Io però vado avanti perché il mio lavoro mi diverte e mi dà modo di essere un signore maturo con la voglia di vivere di un ragazzino.
Ha scelto di non fornire servizi di asporto e delivery, è corretto?
Sì, io faccio solo servizi a casa, altrimenti bisogna fare i video e altro ancora. È difficile assemblare i miei piatti. C’è qualcuno che mi chiede di creare ricette che le persone sappiano mettere insieme senza troppa fatica. Chiaramente potrei semplificare qualche portata per poterla ricreare a casa, ma non mi sembra giusto nei confronti di chi chiede la mia vera cucina. Per questo preferisco andare nelle case dei miei clienti ed essere io stesso a cucinare. Ho fatto qualche servizio, ma i soldi sono finiti. Non solo, stanno anche ammazzando tutta la filiera, perché sono tantissime le persone che lavorano dietro al mio acquisto, da chi imbusta e fa le etichette, ai produttori e trasportatori. Stanno ammazzando una filiera. E se ne fregano.
Ha fatto richiesta per ricevere gli aiuti previsti per il settore?
Sì, al momento sono arrivati 12mila euro, che naturalmente si è tenuta la banca perché ho i conti in rosso. Normalmente, 12mila euro li faccio in tre, quattro giorni.
Nella Legge di Bilancio 2021 è previsto un bonus chef per l’acquisto di beni strumentali e la partecipazione a corsi di aggiornamento, qual è il suo commento?
Sono palliativi per cercare di tenerci buoni.
Di quali aiuti concreti avrebbe bisogno il suo settore?
Il vero punto della questione è che non ci devono chiudere perché noi vogliamo lavorare. Se ci chiudono devono darci lo stesso guadagno che avremmo potuto realizzare lavorando. Mi avete tenuto chiuso nove mesi: dovete darmi 400mila euro. Semplice. Possiamo anche decurtare il valore della merce perché non l’abbiamo acquistata, ma ci sono comunque gli affitti, gli stipendi, le bollette. Pertanto mi devono dare 300mila euro.
Com’è andata la riapertura estiva?
Ho riaperto il 10 giugno, ma, con tutte le notizie allarmistiche che danno quotidianamente, prima di ricominciare a lavorare realmente è passato un mese. Facevo 1.500-2mila euro al giorno, pochi per il mio fabbisogno. A settembre abbiamo lavorato bene, così fino alla fine di ottobre. Poi è arrivata la seconda ondata.
Quale deve essere dunque la risposta dell’intero settore?
Il settore dovrebbe essere compatto nei confronti di chi emana le leggi: bisogna far capire loro che noi adesso non scherziamo più. Ciò significherebbe andare tutti insieme in piazza.
E lei in piazza ci è andato…
Ho organizzato 70 manifestazioni.
Quale è stata la risposta dei suoi colleghi?
La risposta è stata positiva. La manifestazione che ha avuto più successo ha portato in piazza 500 persone. Ma c’è chi non ha il coraggio di metterci la faccia: questa gente ha bisogno di essere svegliata.
Quale reazione invece da parte delle istituzioni?
Non gliene frega un cazzo. Ho chiesto di parlare direttamente con Conte, ma mi hanno riso in faccia.
Nonostante la situazione, numerose guide hanno pubblicato la propria edizione 2021, pensa sia stata una decisione corretta?
Certamente, era l’unico modo per poter andare avanti. Trovo giusto che abbiano fatto visita ai ristoranti per emettere i loro giudizi.
Lo vive, quindi, come un segnale di ripartenza?
No. Voglio solamente dire che nel momento in cui le guide fanno il loro lavoro è perché vogliono far sì che la ristorazione italiana non muoia. Insomma, le guide si sono comportate in modo consono a quello che devono fare, senza farsi soggiogare. Incluse quelle che non sono magnanime nei miei confronti.
La ristorazione deve reinventarsi per sopravvivere?
Per quanto mi riguarda, spero di no. Il pranzo o la cena fuori casa sono momenti ilari. Le persone escono per fare serata, per il piacere di uscire. Noi ristoratori dobbiamo dare loro il massimo. Possiamo reinventarci quanto vogliamo, ma se i clienti non possono venire da noi, allora saremo noi a dover andare da loro. Ma non è la stessa cosa, perché manca il piacere di vedere gente. I servizi che ho svolto in casa erano principalmente sorprese da parte dei mariti per le mogli, o viceversa. Apprezzavano, ma quanto può durare questa situazione? La gente ha voglia di vivere, di farsi bella, uscire, prendere la macchina e creare un momento di convivialità.
Le pongo una domanda provocatoria, il delivery dunque non può essere il futuro della ristorazione?
Assolutamente no. La cucina di un certo livello non si può portare a casa. Chi volesse mangiare le stesse pietanze che si mangiano in un ristorante stellato può chiamare me. O un altro tra i miei colleghi.
Quando pensa si tornerà alla ‘normalità’?
Ne abbiamo fino a fine 2023. Io spero che qualcuno si muova prima. A partire da me in prima persona. Una cosa di cui sono incazzato è che i miei illustri colleghi se ne stanno con le mani in mano. Anche perché la maggior parte di loro, avendo maggiore visibilità rispetto a me, riescono a campare lo stesso per cui a loro non importa nulla di intervenire personalmente. Alcuni di loro riescono comunque ad avere un introito in virtù della loro notorietà. Io ho rinunciato a fare diverse trasmissioni televisive perché le trovavo insulse. Quando mai! Se l’avessi fatto, oggi guadagnerei sicuramente di più.
Non vede di buon occhio chi tra i suoi colleghi fa televisione?
No, fanno bene ad andare in televisione. Io non condivido i format di alcune trasmissioni, pur tenendo conto che hanno avvicinato un certo tipo di pubblico: i giovani. Oggi tutti i ragazzi credono di poter diventare chef ed essere subito premiati, ma non è così, prima bisogna lavorare sodo. Il problema è che, quando parlavo con i produttori di queste trasmissioni e facevo presente che bisogna anche educare i ragazzi, non importava. Vogliono fare audience, dunque i piatti devono volare e lo chef deve insultare il ragazzino. Il sistema non mi è mai piaciuto.
E immagino sia distante dalla realtà…
Certamente. Io non insulto i miei ragazzi. Alcuni chef, invece, lo fanno in televisione come se fosse una cosa normale. Io scherzo dalla mattina alla sera con chi lavora con me. Ma questo non vuol dire che non dia i corretti insegnamenti e che il lavoro non sia una cosa seria.