Il presidente di Ristoratori Toscana, si è messo in viaggio per andare a Palazzo Chigi. Ci arriverà a piedi con un gruppo di colleghi. Per portare le sue proposte al premier.

 

di Elisa Tonussi

 

Pasquale Naccari, presidente dell’associazione Ristoratori Toscana, è arrabbiato. Molto. E, come lui, numerosi altri ristoratori, trascinati nel baratro dalle norme per contenere la diffusione del virus. Vittime della cecità dello Stato di fronte alle reali necessità degli esercenti. Naccari, insieme a un gruppo di colleghi, ha intrapreso il 4 novembre una camminata, ribattezzata ‘Marcia degli inessenziali’, che da Firenze lo porterà a Roma, davanti a Palazzo Chigi. Lì, con grande risolutezza, intende sottoporre al premier Giuseppe Conte alcune proposte. Perché “altrimenti, da questa situazione, della ristorazione, non ne uscirà vivo nessuno”. Naccari ci offre la sua testimonianza durante una telefonata dai toni caldi, a pochi giorni dall’inizio della camminata.

 

Una marcia verso Roma, ribattezzata ‘Marcia degli inessenziali’: una manifestazione tanto pacifica, quanto emblematica. Ci spieghi meglio in cosa consiste.

Non è una marcia, innanzitutto. È una camminata. Una manifestazione pacifica, che avevamo già messo in calendario prima della pubblicazione dell’ultimo Dpcm. Già nell’ultimo mese e mezzo, si è ridotto il lavoro, non soltanto per il normale calo dei consumi del periodo, ma anche a causa di un motivo ben preciso: la comunicazione molto aggressiva, da parte del ministero della Salute, che ha impaurito i clienti e li ha indotti a chiudersi in casa. Non solo abbiamo lavorato meno, abbiamo dovuto ridurre i coperti e affrontare i costi della sanificazione e messa in sicurezza dei luoghi di lavori. Abbiamo così deciso di chiudere in autonomia, come già avevamo fatto a marzo. Perché non siamo negazionisti del virus. Siamo però consapevoli della realtà che ci circonda: i mezzi di trasporto sono stracolmi, solo per fare un esempio. Non vogliamo essere il capro espiatorio di questo governo. Già siamo stati messi in ginocchio dalla prima ondata. Questa volta non saremo in grado di sostenere le spese perché ci siamo indebitati. Infatti, di quelli con reddito superiore ai 25mila-30mila euro, che hanno fatto richiesta di accesso al credito, solo il 13% è riuscito a ottenerlo. In più, visto che con questo virus dovremo convivere molto a lungo, cosa faremo? Chiuderemo per sempre?

 

Per questo, dunque, il ‘Cammino degli inessenziali’. Esatto. Noi siamo gli inessenziali.

Perché chiudono tutto ciò che non è essenziale. Domandate a noi persone che viviamo lavorando in un ristorante se siamo inessenziali. Domandatelo a chi produce caffè per i bar, agli allevatori, che non venderanno più latte ai bar per i cappuccini a causa dello smart working, agli agricoltori, ai macellai e alle pescherie, che non forniranno più i locali. Domandatelo ai distributori di bevande, che sono sull’orlo del fallimento. Siamo inessenziali perché non siamo tutelati dallo Stato. Perché siamo una minoranza, che porta pochi voti e può essere schiacciata.

 

Come spiegare a Conte perché siete essenziali?

Con una cifra precisa: 30%. Riesce a mandare avanti una nazione con il 30% del Pil in meno? Oltre a ciò, riesce a mantenere anche noi con il reddito di cittadinanza? Se riesce, allora chiederemo tutti il reddito di emergenza e quello di cittadinanza.

 

Degli aiuti previsti dal Decreto Agosto, chi ha fatto domanda, ha ricevuto la somma prevista?

Ancora non c’è nulla del Decreto Agosto, mancano i documenti.

 

E la cassa integrazione?

Il fondo per la filiera agroalimentare non può essere richiesto perché ancora manca la modulistica. Ci sono una serie di paletti ingestibili e problematiche.

 

Cosa pensa invece del Decreto Ristori?

È una buffonata. Soprattutto per il modo in cui è stato presentato. Le percentuali indicate nel decreto sono relative ai ristori del mese di aprile, che erano nulla. Il problema è che il Governo non sostiene le aziende, bensì la gente che non lavora: prima di pagare il reddito di cittadinanza, avrebbe dovuto pagare la cassa integrazione. Senza gente che lavora non ci sarebbe nemmeno il reddito di cittadinanza. Pensi che alcuni dei miei dipendenti devono ancora avere la cassa integrazione di maggio.

 

Vuole lanciare un messaggio ai suoi colleghi ristoratori in tutta Italia?

Dobbiamo essere più solidali l’uno con l’altro, più comprensivi, uniti e compatti. Se siamo a questo punto è perché lo abbiamo permesso noi: perché abbiamo permesso allo Stato di metterci sempre in secondo piano, quando invece avremmo dovuto essere protagonisti di una nazione. Insieme al turismo, all’agricoltura, al commercio, la ristorazione è il motore della nazione. L’Italia non può vivere di fabbriche. Invece, abbiamo permesso di essere messi in secondo piano e di non contare mai nulla. Abbiamo accettato negli ultimi 30 anni una serie di provvedimenti a pioggia, di essere vessati. Ma senza i nostri incassi l’Italia crolla. Dobbiamo far valere i nostri diritti. Quindi basta con gli individualismi.