Il tribunale di Macerata ha condannato una donna per diffamazione in una recensione del 2017. Una piccola vittoria per i ristoratori spesso bersagliati da critiche volgari e senza criterio. Questo senza dimenticare che anche loro sanno essere permalosi…
di Tommaso Farina
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle…”: provate a ripetere questo verso alla signora che nel 2017, nella leopardiana Recanati, dopo aver sostato in un ristorante locale decise di sfogare la propria insoddisfazione su Tripadvisor. Il romantico Monte Tabor recanatese, alla malcapitata critica gastronomica di giornata, oggi senz’altro evoca immagini prossime al pessimismo cosmico del poeta. La notizia è finita un po’ su tutti i giornali adriatici: lunedì 14 gennaio, il tribunale di Macerata ha condannato una donna aquilana (peraltro, sembra, residente in Spagna) per le diffamazioni scritte in una recensione su Tripadvisor, relative a un locale di Recanati.
L’insoddisfatta cliente dovrà pagare una multa di 2000 euro, e risarcire il ristorante con altri 5000 per il danno d’immagine arrecato. E sembrerebbe pure esserle andata di lusso: il pubblico ministero aveva chiesto addirittura sei mesi di carcere. La fattispecie è risultata aggravata dal fatto che un’altra recensione è poi stata pubblicata su Facebook, nel gruppo “Gufo? No grazie!”. Quest’ultimo tra l’altro è un raduno di ristoratori e persone scontente proprio della deregulation di Tripadvisor (il gufo citato è il suo famoso logo), cosa che fa apparire quasi paradossale l’agire dell’inviperita commensale aquilana. Il contenuto da lei postato, che almeno nella versione scritta per Tripadvisor siamo riusciti a trovare nella sua integralità, è in effetti problematico, e forse degno di figurare all’interno della nostra rubrica dedicata per l’appunto a simili perle. Però non è né meglio, né peggio di altri. La frase più citata dai giornali è stata quella in riferimento al presunto comportamento dei titolari: “Di fronte alle nostre lamentele, neanche una parola di scuse ma solo molta, troppa, aggressione” nonché “l’estrema maleducazione dei gestori”. Il resto? Niente di particolarmente urticante, tutto sommato.
Peggio, a quanto pare, il caso della recensione scritta su Facebook, che non siamo riusciti a reperire, ma che è citata in lungo e in largo dai giornali, oltre che in aula: “Posto tipo bettola, normale con molto casino, dal quale siamo stati addirittura cacciati solo per aver espresso disappunto rispetto al ritardo (un’ora e mezza) con cui ci hanno portato i primi. Ecco: cacciati. Il posto sostanzialmente una trappola, si mangia in maniera assolutamente ordinaria se non scarsa, costa tanto e i proprietari sono dei veri cafoni”. Ecco, qui in effetti certi epiteti prestano il fianco a una querela: espressioni quali “bettola” e “cafoni” forse non sono improntate al massimo della pacatezza e della costruttività. Il procedimento giudiziario relativo a questi scritti del 2017, con la consueta celerità italica, ha iniziato a celebrarsi lo scorso settembre. Lunedì 14 gennaio, la sentenza: condanna. Multa e risarcimento.
La vogliamo fare una riflessione? Tripadvisor è fin troppo spesso lo sfogatoio di ogni frustrazione. Compulsandolo attivamente per trovare materiale divertente, non è difficile imbattersi in critiche strampalate, situazioni inverosimili, narrazioni talvolta inventate di sana pianta da concorrenti invidiosi che si spacciano per innocenti clienti. I ristoratori sono impotenti nel contrastare le recensioni scritte così: alcuni rispondono direttamente sul sito con aplomb inattaccabile, altri invece replicano mettendosi sullo stesso livello o anche più in basso, compiendo un grosso errore tattico. Altri ancora chiedono al sito la rimozione dei contenuti più calunniosi, senza ottenerla. L’epilogo giudiziario è sintomo di un’insofferenza diffusa nei confronti di una libertà d’espressione che spesso e volentieri travalica i limiti della violenza verbale. In questi casi, chiedere ragione di certe condotte scriteriate con l’aiuto di un giudice è probabilmente un’idea giusta: l’articolo 595 del codice penale è attualmente in vigore, e vi si può appellare chiunque si ritenga diffamato. Il giudice dovrà, appunto, giudicare la sussistenza della diffamazione. La condanna dunque dipende dal giudice. Ma se questa signora avesse scritto, come altri con troppa disinvoltura fanno, cose come “Ladro” o “Truffatore”, cosa si sarebbe beccata? L’ergastolo?
Oserei dire che, a parte qualche cedimento, la recensione apparsa su Tripadvisor non fosse particolarmente virulenta. Ma del resto, alcuni ristoratori talvolta ricorrono al tribunale sentendosi diffamati anche da vere critiche, com’è successo varie volte a Edoardo Raspelli: sempre assolto, per la cronaca. Ecco: sarebbe il caso che i critici wannabe su Tripadvisor imparassero dall’illustre collega la virtù della continenza, senza lasciarsi trasportare dalla rabbia passeggera per aver mangiato male. La rabbia passa, le parole restano e diventano pietre.