La guida edita da Slow Food compie 33 anni. Ed esce con un censimento di 1.730 trattorie dove gustare cucina tipica e vini ben scelti. Un piacevole diversivo al solito panorama della ristorazione ultrablasonata.
di Tommaso Farina
Tavoli, sedie di legno, tovaglie a quadretti: il palco del Piccolo Teatro di Milano anche quest’anno ha ospitato qualcosa di diverso dagli spettacoli di prosa. La mattina di lunedì 24 ottobre, infatti, Slow Food Editore ha presentato la nuova edizione di Osterie d’Italia: la 33esima, per essere precisi. La guida di Slow Food dedicata a un modo diverso di fare ristorazione è un piacevole diversivo, in un momento storico in cui le normali guide dei ristoranti, con la riduzione della foliazione e la crisi dell’editoria, sono quasi costrette a raccontare sempre gli stessi nomi: una guida della ristorazione generalista non può permettersi di tenere fuori certi indirizzi, i grandi d’Italia, che dunque appaiono su tutte le pubblicazioni del settore.
Meno battuto dalle guide, viceversa, da troppo tempo è il comparto della ristorazione ‘di classe media’, quella che sta immediatamente sotto, e che gioca la carta della tradizione, della cucina tipica e regionale, e di una fascia di prezzo inferiore per il cliente. Fin da subito, oltre trent’anni fa, Osterie d’Italia nacque per dare spazio a questo tipo di storie e di ristoranti, e lo fa ancora oggi, con l’edizione 2023, uscita in libreria il 26 ottobre al prezzo di 24 euro.
Francesca Mastrovito ed Eugenio Signoroni, i curatori, come sempre hanno coordinato una fitta rete di collaboratori e assaggiatori su tutto il territorio nazionale, più di 240, che hanno dovuto provare ed esaminare non meno di 1.730 tavole: un bel malloppo, una dolce fatica. Il risultato sono 139 nuovi indirizzi, che entrano nel novero dei locali recensiti. Una novità è quella della menzione del ‘bere bene’: viene assegnata a quelle osterie che offrono, accanto o in sostituzione a una valida proposta di vini, una selezione di bevande alcoliche e non – birre artigianali, distillati, cocktail ma anche succhi, estratti e infusi – scelte con attenzione e personalità. Rimangono le altre menzioni: quella della chiocciola riguarda le osterie particolarmente interessanti sotto il profilo della proposta, e che meglio si armonizzano con gli ideali sloowfoodiani di ‘buono, pulito e giusto’. Il simbolino della bottiglia, invece, come sempre connota gli indirizzi che in qualche modo si distinguono per la cura e l’eccellenza dell’elemento vinicolo. Le chiocciole quest’anno in tutta la guida sono 270, e sono un po’ l’élite delle osterie italiane. Più numerose le bottiglie (450), mentre il nuovo gagliardetto del ‘bere bene’ è stato assegnato a 126 trattorie.
Ci sono anche altri simboli distintivi, a indicare offerte particolari: quello dell’orto di proprietà, dei formaggi buoni e via discorrendo. Ma anche qui ci sono delle novità: un simbolino per il pane d’eccellenza, e uno per gli osti che abbiano particolarmente a cuore l’olio extravergine d’oliva.
Nel corso della presentazione, sono stati premiati i gestori che si sono distinti più degli altri. Per esempio, il premio Miglior Oste è andato a Roberto Casamenti e Alessandra Bazzocchi, la coppia che manda avanti La Campanara, a Galeata (Forlì-Cesena), sul versante romagnolo del Casentino. Il riconoscimento per la Miglior Interpretazione della Cucina Regionale è andato invece alla famiglia Milana, dell’osteria Sora Maria e Arcangelo di Olevano Romano (Roma).
Morale: la grande ristorazione blasonata è fondamentale per tutto il comparto, ma il suo tessuto connettivo è formato dai locali più semplici, con meno ambizioni ma non meno meritevoli per il cliente.